“La tecnologia e l’umano oltre i limiti dell’umanità” (16 ottobre 2021)

a cura di Dott. Maurizio
Borri

La degenerazione del rapporto tra la coscienza e la razionalità nell’uomo

L’immagine dell’abbraccio scelta dal comitato del Nobel per presentare il riconoscimento del premio per la medicina e fisiologia del 2021 è un buon riassunto di quello che recentemente è sta­to premiato: senza i recettori somatosensoriali (nel caso specifico della temperatura e il tatto) non riusciremmo a sentire gli altri, né ad aver coscienza dei nostri movimenti, sia nella sensa­zione del dolore come in quella del piacere. Le scoperte di David Julius e Ardem Patapoutian rivelano come la nostra percezione sensoriale sia collegata all’attività del sistema nervoso at­traverso vie nervose che partono dalla pelle fino ad arrivare al cervello. Le loro scoperte hanno svelato il processo di come sia possibile perce­pire e interagire con il mondo fisico circostante attraverso il sistema somato-sensoriale.

Queste ricerche confermano che l’informazione generale ambientale è tradotta in codici com­prensibili al nostro sistema nervoso attraverso segnali elettrici, cioè la capacità di ‘percepire’ i vari segnali che il nostro corpo continuamente rileva e trasmette, permette ad ognuno di noi di avere una maggiore consapevolezza di se stessi nel rapporto con gli altri. Quando nei nostri ar­ticoli pubblicati sul sito della Fondazione Homo Novus (www.fondazionehomonovus.net) di­ciamo che tutto il nostro corpo è un potente radar rice-trasmittente, intendiamo focalizzare l’attenzione a ciò che questi ricercatori hanno rilevato attraverso le loro ricerche, e cioè che ognuno di noi è costantemente immerso all’in­terno di un flusso di informazioni provenienti dall’ambiente in cui ci troviamo, e che questa informazione, di carattere sia generale che par­ticolare, è sempre tradotta prima di tutto dal nostro corpo e nello specifico dai recettori so­matosensoriali. Quindi la capacità di ‘percepire’ le varie informazioni ambientali ci arriva diret­tamente dal corpo in quanto strumento esatto di conoscenza.
La percezione è l’attitudine per rilevare l’in­formazione sia interna che esterna e quindi misurarne il valore, significa che qualsiasi no­stra esperienza implica sia la percezione sia la coscienzia associata a questa percezione. Il rapporto ottimale tra percezione e coscienza è il punto chiave di ciò che definiamo ‘evidenza’ dei risultati. Infatti la coscienza implica sempre la ‘conoscenza’ di qualche cosa, ed in tal sen­so è una funzione tipicamente individuale che permette di sapere ciò che sta accadendo tra me e l’ambiente circostante e quindi aggiornare e regolare l’azione da farsi. Diciamo che coscien­tizzare significa ‘riflettere’ ciò che ci agisce e quindi poterlo misurare e forse controllare. La definizione di senso comune “La coscienza è esperienza” implica il fatto di come le espe­rienze siano gli unici aspetti della realtà di cui ciascuno è direttamente consapevole. Questo si­gnifica che il problema dell’uomo non è la vita o gli altri, ma è il modo in cui egli si “rapporta” a se stesso attraverso ‘quanto’ e ‘come’ perce­pisce la reazione totale dell’organismo nel pro­cesso riflessivo cosciente. Il quanto ed il come è la discriminante per il fatto stesso che possedia­mo un corpo biologico. Il corpo è intriso di sog­gettività, è oggetto-soggetto, non è solo schema
o qualcosa che io ho: io sono il mio corpo. Ho un corpo e sono il mio corpo. Sono i due poli dell’ avere un corpo e dell’ essere un corpo. Il primo accentua soprattutto il momento percet­tivo e sensoriale, mentre il secondo riguarda soprattutto il momento riflessivo e costituisce la coscienza incarnata in quanto esserci-nel mondo. La coscienza incarnata è essere al mon­do attraverso l’intermediario del corpo agente ed agito, questo significa che sia nel benessere come nella malattia è solo attraverso il corpo che l’informazione viene riflessa sullo specchio della coscienza. In tal senso il nostro corpo è lo strumento esatto del proprio modo di cono­scere sia me stesso che gli altri, persone, cose
o situazioni.
Mai, come in una tale situazione di esperienza, il corpo-che-sono e il corpo-che-ho tendono a fondersi in inscindibile unità, superando le op­poste polarità di base e la loro fenomenica dia­lettica. Strumentalizziamo il corpo, perché il nostro corpo è un potente radar rice trasmittente ed è sempre connesso all’informazione ambien­tale, quindi è criterio naturale di conoscenza. Inoltre nella comprensione dell’essere uomano, occorre usare “l’intero dell’uomo”, in quanto una parte che manca, che non conosco renderà deficitaria la comprensione esatta di ciò che voglio capire o analizzare. Come esseri umani possiamo rilevare l’informazione ambientale solo attraverso il recupero cosciente della per­cezione corporea. Questo processo accade gra­zie alla funzione della coscienza. Possiamo dire che per 1′ essere umano – considerato da tutti i grandi del passato una “creatura divina” – la consapevolezza è un processo riflessivo psico­biologico che di fatto apre dimensioni superiori. La riflessione fenomenologica della percezio­ne elementare è quella informazione “prossima all’io” che fa del corpo il cardine essenziale del­la nostra presenza-al-mondo, e che ci fa inten­dere la corporeità senza riprodurre il dualismo soggetto-oggetto. La funzione basilare tra que­sti due stati è data dalla consapevolezza, cioè la presa di coscienza nel qui e adesso della rela­zione o contatto con l’altro, sia persona, cosa o situazione. Questa consapevolezza è importante perché siamo sempre ali’ interno di una dinami­ca informatica tra me e l’ambiente. In tal senso esperienza, percezione e coscienza sono un in­sieme di funzioni sinergiche che traducono la realtà in cui mi trovo.
Quando questo processo è lineare abbiamo la reversibilità tra la realtà concreta ed il codice o funzione per come io la posso conoscere e sa­pere, cioè l’informazione (intrinseca alla rela­zione) viene tradotta in codice a me comprensi­bile. Quando questo processo è alterato – come ad esempio nel disagio mentale – non ho più possibilità di esattezza di percezione e quindi di coscienza esatta, cioè qualcosa si è inserito tra la percezione e la coscienza. Infatti nei rapporti dissociati prevale sempre un’idea, una memo­ria che anticipa e non permette una percezione esatta, conforme al fatto reale, concreto. Quan­do la coscienza riflette una percezione sensoria­le dissociata dal reale concreto con cui siamo in relazione, siamo nell’ipotesi probabilistica di qualsiasi processo mentale che non ha più la base oggettiva nel proprio corpo, cioè siamo ‘fuori’, scissi dall’esattezza sensoriale oggetti­va che fa del mio corpo il mio criterio di natura esatto.
Non è un caso che qualsiasi schizofrenico ma­nifesto, non abbia alcuna percezione sensoriale cosciente, quasi che il corpo sia più un peso che una funzione basilare. In questi casi la perce­zione sensoriale è completamente sostituita dal pensiero razionale.
Prendendo spunto dalla natura, possiamo osser­vare che nessuna specie vivente si usa in modo parziale, solo l’uomo è contraddittorio verso la sua natura biologica e questo accade in quanto ognuno di noi forma il proprio Io logico stori­co attraverso gli stereotipi strutturali della pro­pria coscienza cioè attraverso tutto il bagaglio socio-culturale di appartenenza. L’incredibile capacità di adattamento ali’ ambiente – sempre dinamico e informatico – è sostenuta soltanto dal “significato” che ognuno di noi dà al mondo in cui vive, nel senso che chi ha un “perché” per vivere, quasi sempre sopporterà “come” vivere. Ogni uomo fa vera conoscenza solo attraverso l’esperienza, cioè confronta ciò che conosce con la sua esistenza e reagisce a quanto cono­sciuto in base a ‘quanto’ e ‘come’ capisce. Quindi il “dilemma” o “paradosso” dell’ esi­stenza umana è quello che insorge dalla capa­cità dell’uomo di sperimentare se stesso tanto come oggetto quanto come soggetto di tutto ciò che conosce. Dal livello di coscienza che ognu­no di noi possiede nasce la possibilità di esse­re auto-consapevole della libertà e capacità di conoscenza in relazione all’ambiente. Una per­cezione parziale o assente è già un campanello di allarme verso la comprensione che ognuno di noi ha di se stesso, in quanto una percezio­ne ‘inquinata’ significa avere una coscienza non esatta, che non riflette in modo oggettivo la realtà concreta. Possiamo dire che il princi­pio di ogni errore, di ogni malattia e di qual­siasi dissociazione è la coscienza formalizzata su percezioni improprie, che non hanno niente a che vedere con la natura dell’esperienza. Sap­piamo bene che qualsiasi emozione scaturisce dall’impatto corporeo con l’ambiente prossimo, ma sappiamo anche come qualsiasi pensiero o immagine insistente o ossessiva possa alterare il nostro stato d’animo. Nel nostro organismo esiste già una intelligenza di natura, evidenziata dalla funzione genica. I geni rappresentano la garanzia biologica connessa ad un progetto di natura. Questo processo a noi risulta evidente attraverso la integrale funzionalità fisiologica e corrispondente stato di salute. Per contro, la malattia è una alterazione di questo proces­so provocata ad esempio da fattori virali, cioè fattori in contraddizione al progetto di natura genico che possono rappresentare un micidiale combinato per l’epigenetica dei disturbi men­tali. L’epigenetica si interessa dell’insieme dei processi – dal livello molecolare a quello com­portamentale, passando per il piano fisiologico – che contribuiscono a determinare, modificare e regolare continuamente tutte le funzioni geni­che. Significa che quando una informazione ‘vi­rale’ entra in un sistema “complesso” qual è un essere umano, esiste la concreta possibilità di una mutazione, soprattutto se questa informa­zione provoca la formazione di disturbi mentali associati alla paura, e cioè depressione, dipen­denze, ansia, fobie, disturbi del sonno e sintomi dissociative.
Credo sia opinione condivisa che oggi il fatto­re dominante tra la popolazione sia la ‘paura’. Paura su tutto e tutti. Un senso di impotenza che ci mette all’angolo e ci priva del nostro meglio, cioè della capacità della intelligenza. Intelligenza e volontà sono i cardini dell’esse­re umano, ma non basta la buona volontà per uscire dal tunnel della paura, oggi è necessaria la tecnica. E la tecnica è data dalla conoscenza, cioè dalla consapevolezza. La volontà senza la consapevolezza è come avere un conto in banca dove sono gli altri che prendono il tuo denaro (perdonate la crudezza della metafora). Sono andati in crisi tutti i criteri di benessere – sia individuale che sociale – perche questo sistema economico ha sostituito con il denaro i valori ti­pici dell’umanesimo di cui l’Italia vanta un pas­sato estremamente significativo. Da due secoli a questa parte la globale cultura economica ha impostato come valore prioritario il potere eco­nomico, quindi l’uomo ha valore solo se agisce come un soggetto teso al consumo oggettivo di beni., senza alcun rispetto verso se stesso e gli altri. Gli oggetti hanno sostituito e compensato i valori del vero, del bene, del giusto e del bel­lo, valori tipici dell’umanesimo italiano. Nelle nostre case abbiamo di tutto e di più, una ab­bondanza di ‘oggetti’ che però non compensa­no la naturale esigenza soggettiva al benessere psicoemotivo individuale, in quanto naturale e intrinseca tensione di ogni essere umano in­telligente. Oggi stiamo toccando con mano che questo modello di società basato solo sul consu­mismo oggettivo non funziona, anzi è induttivo di stati mentali precari e dissociati, prova ne è il progressivo aumento del disagio mentale anche tra i giovani.
Mi spiego meglio, anche se ognuno di noi si de­finisce ‘logico’ e ‘razionale’, le attuali eviden­ze esistenziali – soprattutto in questo delicato momento storico – hanno fatto emergere tutta la nostra fragilità emotiva. Fragilità in quanto situazione inevitabile dal momento che nessuno si conosce per ciò che è, ed emotiva in quanto le emozioni nascono dall’interazione del nostro corpo con l’ambiente circostante. La mancanza di consapevolezza verso se stessi e verso l’in­formazione che costantemente ci contatta si­gnifica carenza di identità, carenza del proprio senso – valore, della propria autostima. Questo atteggiamento psicologico che ha livellato tutti all’impotenza ha però incrementato un effetto dilagante; quello della “paura”.
Siamo tutti all’interno di un processo mediatico e tecnologico che sta minando l’integrità psico­fisica dell’individuo con una sanità normale e che rivela un chiaro nesso tra le emozioni nega­tive e la gestione immatura del nostro quotidia­no vivere. Mi riferisco da una parte al problema dell’uso problematico dello smartphone, una realtà messa in evidenza da numerose ricerche scientifiche, e dall’altro all’informazione me­diatica associata all’ “effetto pandemico” ad ef­fetto epigenetico (vedi articolo “Le parole che contano” su ND di Luglio Agosto scorso). Da qui la necessità di fare una sospensione razio­nale sia di giudizio che di critica, a favore di un recupero dell’intelligenza corporea. Questo perché il nostro corpo è l’unica risorsa che non ci ha mai tradito, mentre la nostra testa, il nostro modo di pensare ci sta dimostrando che occorre rivedere qualcosa al nostro interno.
La nostra testa, il nostro modo di ragionare subi­sce le mille interferenze informatiche provocate dall’ambiente, mentre mai il mio corpo perde la qualifica dell’appartenenza, che gli consente di essere una perenne e inconscia sorgente di significati, un “rilevatore di senso”, un potente ra­dar rice trasmitente connesso e sinergico all’in­formazione olistico dinamica che l’esistenza è. Significa che il mio corpo diviene perennemen­te e preminentemente sia strumento che campo di espressione e di relazione: in ogni momento gli occhi, le mani, le dita, il volto, con tutti i loro infiniti movimenti e significati, realizzano le mie intenzioni già prima che io le pensi nella continua comunicazione di me-corpo in relazio­ne con il mondo.
Abbiamo perso il significato dell’importanza del corpo perché siamo tutti figli della cultura di appartenenza, quindi non abbiamo la possibilità di essere neutrali, ognuno di noi è più figlio di ciò che gli altri gli hanno detto e insegnato che di se stesso.
In sintesi l’impossibilità di conoscere il reale ‘mondo della vita’, non è un limite intrinseco alla razionalità dell’uomo, ma è piuttosto un problema psicologico, cioè un problema di co­scienza, in quanto le logiche razionali sono ‘dis­sociate’ dal quantico esistenziale psicobiologi­co, significa che bisogna cambiare per come la natura ci ha posto e non per come ci pensiamo.