“La tecnologia e l’umano oltre i limiti dell’umanità” (16 ottobre 2021)

a cura di Dott. Maurizio
Borri

La degenerazione del rapporto tra la coscienza e la razionalità nell’uomo

L’immagine dell’abbraccio scelta dal comitato del Nobel per presentare il riconoscimento del premio per la medicina e fisiologia del 2021 è un buon riassunto di quello che recentemente è sta­to premiato: senza i recettori somatosensoriali (nel caso specifico della temperatura e il tatto) non riusciremmo a sentire gli altri, né ad aver coscienza dei nostri movimenti, sia nella sensa­zione del dolore come in quella del piacere. Le scoperte di David Julius e Ardem Patapoutian rivelano come la nostra percezione sensoriale sia collegata all’attività del sistema nervoso at­traverso vie nervose che partono dalla pelle fino ad arrivare al cervello. Le loro scoperte hanno svelato il processo di come sia possibile perce­pire e interagire con il mondo fisico circostante attraverso il sistema somato-sensoriale.

Queste ricerche confermano che l’informazione generale ambientale è tradotta in codici com­prensibili al nostro sistema nervoso attraverso segnali elettrici, cioè la capacità di ‘percepire’ i vari segnali che il nostro corpo continuamente rileva e trasmette, permette ad ognuno di noi di avere una maggiore consapevolezza di se stessi nel rapporto con gli altri. Quando nei nostri ar­ticoli pubblicati sul sito della Fondazione Homo Novus (www.fondazionehomonovus.net) di­ciamo che tutto il nostro corpo è un potente radar rice-trasmittente, intendiamo focalizzare l’attenzione a ciò che questi ricercatori hanno rilevato attraverso le loro ricerche, e cioè che ognuno di noi è costantemente immerso all’in­terno di un flusso di informazioni provenienti dall’ambiente in cui ci troviamo, e che questa informazione, di carattere sia generale che par­ticolare, è sempre tradotta prima di tutto dal nostro corpo e nello specifico dai recettori so­matosensoriali. Quindi la capacità di ‘percepire’ le varie informazioni ambientali ci arriva diret­tamente dal corpo in quanto strumento esatto di conoscenza.
La percezione è l’attitudine per rilevare l’in­formazione sia interna che esterna e quindi misurarne il valore, significa che qualsiasi no­stra esperienza implica sia la percezione sia la coscienzia associata a questa percezione. Il rapporto ottimale tra percezione e coscienza è il punto chiave di ciò che definiamo ‘evidenza’ dei risultati. Infatti la coscienza implica sempre la ‘conoscenza’ di qualche cosa, ed in tal sen­so è una funzione tipicamente individuale che permette di sapere ciò che sta accadendo tra me e l’ambiente circostante e quindi aggiornare e regolare l’azione da farsi. Diciamo che coscien­tizzare significa ‘riflettere’ ciò che ci agisce e quindi poterlo misurare e forse controllare. La definizione di senso comune “La coscienza è esperienza” implica il fatto di come le espe­rienze siano gli unici aspetti della realtà di cui ciascuno è direttamente consapevole. Questo si­gnifica che il problema dell’uomo non è la vita o gli altri, ma è il modo in cui egli si “rapporta” a se stesso attraverso ‘quanto’ e ‘come’ perce­pisce la reazione totale dell’organismo nel pro­cesso riflessivo cosciente. Il quanto ed il come è la discriminante per il fatto stesso che possedia­mo un corpo biologico. Il corpo è intriso di sog­gettività, è oggetto-soggetto, non è solo schema
o qualcosa che io ho: io sono il mio corpo. Ho un corpo e sono il mio corpo. Sono i due poli dell’ avere un corpo e dell’ essere un corpo. Il primo accentua soprattutto il momento percet­tivo e sensoriale, mentre il secondo riguarda soprattutto il momento riflessivo e costituisce la coscienza incarnata in quanto esserci-nel mondo. La coscienza incarnata è essere al mon­do attraverso l’intermediario del corpo agente ed agito, questo significa che sia nel benessere come nella malattia è solo attraverso il corpo che l’informazione viene riflessa sullo specchio della coscienza. In tal senso il nostro corpo è lo strumento esatto del proprio modo di cono­scere sia me stesso che gli altri, persone, cose
o situazioni.
Mai, come in una tale situazione di esperienza, il corpo-che-sono e il corpo-che-ho tendono a fondersi in inscindibile unità, superando le op­poste polarità di base e la loro fenomenica dia­lettica. Strumentalizziamo il corpo, perché il nostro corpo è un potente radar rice trasmittente ed è sempre connesso all’informazione ambien­tale, quindi è criterio naturale di conoscenza. Inoltre nella comprensione dell’essere uomano, occorre usare “l’intero dell’uomo”, in quanto una parte che manca, che non conosco renderà deficitaria la comprensione esatta di ciò che voglio capire o analizzare. Come esseri umani possiamo rilevare l’informazione ambientale solo attraverso il recupero cosciente della per­cezione corporea. Questo processo accade gra­zie alla funzione della coscienza. Possiamo dire che per 1′ essere umano – considerato da tutti i grandi del passato una “creatura divina” – la consapevolezza è un processo riflessivo psico­biologico che di fatto apre dimensioni superiori. La riflessione fenomenologica della percezio­ne elementare è quella informazione “prossima all’io” che fa del corpo il cardine essenziale del­la nostra presenza-al-mondo, e che ci fa inten­dere la corporeità senza riprodurre il dualismo soggetto-oggetto. La funzione basilare tra que­sti due stati è data dalla consapevolezza, cioè la presa di coscienza nel qui e adesso della rela­zione o contatto con l’altro, sia persona, cosa o situazione. Questa consapevolezza è importante perché siamo sempre ali’ interno di una dinami­ca informatica tra me e l’ambiente. In tal senso esperienza, percezione e coscienza sono un in­sieme di funzioni sinergiche che traducono la realtà in cui mi trovo.
Quando questo processo è lineare abbiamo la reversibilità tra la realtà concreta ed il codice o funzione per come io la posso conoscere e sa­pere, cioè l’informazione (intrinseca alla rela­zione) viene tradotta in codice a me comprensi­bile. Quando questo processo è alterato – come ad esempio nel disagio mentale – non ho più possibilità di esattezza di percezione e quindi di coscienza esatta, cioè qualcosa si è inserito tra la percezione e la coscienza. Infatti nei rapporti dissociati prevale sempre un’idea, una memo­ria che anticipa e non permette una percezione esatta, conforme al fatto reale, concreto. Quan­do la coscienza riflette una percezione sensoria­le dissociata dal reale concreto con cui siamo in relazione, siamo nell’ipotesi probabilistica di qualsiasi processo mentale che non ha più la base oggettiva nel proprio corpo, cioè siamo ‘fuori’, scissi dall’esattezza sensoriale oggetti­va che fa del mio corpo il mio criterio di natura esatto.
Non è un caso che qualsiasi schizofrenico ma­nifesto, non abbia alcuna percezione sensoriale cosciente, quasi che il corpo sia più un peso che una funzione basilare. In questi casi la perce­zione sensoriale è completamente sostituita dal pensiero razionale.
Prendendo spunto dalla natura, possiamo osser­vare che nessuna specie vivente si usa in modo parziale, solo l’uomo è contraddittorio verso la sua natura biologica e questo accade in quanto ognuno di noi forma il proprio Io logico stori­co attraverso gli stereotipi strutturali della pro­pria coscienza cioè attraverso tutto il bagaglio socio-culturale di appartenenza. L’incredibile capacità di adattamento ali’ ambiente – sempre dinamico e informatico – è sostenuta soltanto dal “significato” che ognuno di noi dà al mondo in cui vive, nel senso che chi ha un “perché” per vivere, quasi sempre sopporterà “come” vivere. Ogni uomo fa vera conoscenza solo attraverso l’esperienza, cioè confronta ciò che conosce con la sua esistenza e reagisce a quanto cono­sciuto in base a ‘quanto’ e ‘come’ capisce. Quindi il “dilemma” o “paradosso” dell’ esi­stenza umana è quello che insorge dalla capa­cità dell’uomo di sperimentare se stesso tanto come oggetto quanto come soggetto di tutto ciò che conosce. Dal livello di coscienza che ognu­no di noi possiede nasce la possibilità di esse­re auto-consapevole della libertà e capacità di conoscenza in relazione all’ambiente. Una per­cezione parziale o assente è già un campanello di allarme verso la comprensione che ognuno di noi ha di se stesso, in quanto una percezio­ne ‘inquinata’ significa avere una coscienza non esatta, che non riflette in modo oggettivo la realtà concreta. Possiamo dire che il princi­pio di ogni errore, di ogni malattia e di qual­siasi dissociazione è la coscienza formalizzata su percezioni improprie, che non hanno niente a che vedere con la natura dell’esperienza. Sap­piamo bene che qualsiasi emozione scaturisce dall’impatto corporeo con l’ambiente prossimo, ma sappiamo anche come qualsiasi pensiero o immagine insistente o ossessiva possa alterare il nostro stato d’animo. Nel nostro organismo esiste già una intelligenza di natura, evidenziata dalla funzione genica. I geni rappresentano la garanzia biologica connessa ad un progetto di natura. Questo processo a noi risulta evidente attraverso la integrale funzionalità fisiologica e corrispondente stato di salute. Per contro, la malattia è una alterazione di questo proces­so provocata ad esempio da fattori virali, cioè fattori in contraddizione al progetto di natura genico che possono rappresentare un micidiale combinato per l’epigenetica dei disturbi men­tali. L’epigenetica si interessa dell’insieme dei processi – dal livello molecolare a quello com­portamentale, passando per il piano fisiologico – che contribuiscono a determinare, modificare e regolare continuamente tutte le funzioni geni­che. Significa che quando una informazione ‘vi­rale’ entra in un sistema “complesso” qual è un essere umano, esiste la concreta possibilità di una mutazione, soprattutto se questa informa­zione provoca la formazione di disturbi mentali associati alla paura, e cioè depressione, dipen­denze, ansia, fobie, disturbi del sonno e sintomi dissociative.
Credo sia opinione condivisa che oggi il fatto­re dominante tra la popolazione sia la ‘paura’. Paura su tutto e tutti. Un senso di impotenza che ci mette all’angolo e ci priva del nostro meglio, cioè della capacità della intelligenza. Intelligenza e volontà sono i cardini dell’esse­re umano, ma non basta la buona volontà per uscire dal tunnel della paura, oggi è necessaria la tecnica. E la tecnica è data dalla conoscenza, cioè dalla consapevolezza. La volontà senza la consapevolezza è come avere un conto in banca dove sono gli altri che prendono il tuo denaro (perdonate la crudezza della metafora). Sono andati in crisi tutti i criteri di benessere – sia individuale che sociale – perche questo sistema economico ha sostituito con il denaro i valori ti­pici dell’umanesimo di cui l’Italia vanta un pas­sato estremamente significativo. Da due secoli a questa parte la globale cultura economica ha impostato come valore prioritario il potere eco­nomico, quindi l’uomo ha valore solo se agisce come un soggetto teso al consumo oggettivo di beni., senza alcun rispetto verso se stesso e gli altri. Gli oggetti hanno sostituito e compensato i valori del vero, del bene, del giusto e del bel­lo, valori tipici dell’umanesimo italiano. Nelle nostre case abbiamo di tutto e di più, una ab­bondanza di ‘oggetti’ che però non compensa­no la naturale esigenza soggettiva al benessere psicoemotivo individuale, in quanto naturale e intrinseca tensione di ogni essere umano in­telligente. Oggi stiamo toccando con mano che questo modello di società basato solo sul consu­mismo oggettivo non funziona, anzi è induttivo di stati mentali precari e dissociati, prova ne è il progressivo aumento del disagio mentale anche tra i giovani.
Mi spiego meglio, anche se ognuno di noi si de­finisce ‘logico’ e ‘razionale’, le attuali eviden­ze esistenziali – soprattutto in questo delicato momento storico – hanno fatto emergere tutta la nostra fragilità emotiva. Fragilità in quanto situazione inevitabile dal momento che nessuno si conosce per ciò che è, ed emotiva in quanto le emozioni nascono dall’interazione del nostro corpo con l’ambiente circostante. La mancanza di consapevolezza verso se stessi e verso l’in­formazione che costantemente ci contatta si­gnifica carenza di identità, carenza del proprio senso – valore, della propria autostima. Questo atteggiamento psicologico che ha livellato tutti all’impotenza ha però incrementato un effetto dilagante; quello della “paura”.
Siamo tutti all’interno di un processo mediatico e tecnologico che sta minando l’integrità psico­fisica dell’individuo con una sanità normale e che rivela un chiaro nesso tra le emozioni nega­tive e la gestione immatura del nostro quotidia­no vivere. Mi riferisco da una parte al problema dell’uso problematico dello smartphone, una realtà messa in evidenza da numerose ricerche scientifiche, e dall’altro all’informazione me­diatica associata all’ “effetto pandemico” ad ef­fetto epigenetico (vedi articolo “Le parole che contano” su ND di Luglio Agosto scorso). Da qui la necessità di fare una sospensione razio­nale sia di giudizio che di critica, a favore di un recupero dell’intelligenza corporea. Questo perché il nostro corpo è l’unica risorsa che non ci ha mai tradito, mentre la nostra testa, il nostro modo di pensare ci sta dimostrando che occorre rivedere qualcosa al nostro interno.
La nostra testa, il nostro modo di ragionare subi­sce le mille interferenze informatiche provocate dall’ambiente, mentre mai il mio corpo perde la qualifica dell’appartenenza, che gli consente di essere una perenne e inconscia sorgente di significati, un “rilevatore di senso”, un potente ra­dar rice trasmitente connesso e sinergico all’in­formazione olistico dinamica che l’esistenza è. Significa che il mio corpo diviene perennemen­te e preminentemente sia strumento che campo di espressione e di relazione: in ogni momento gli occhi, le mani, le dita, il volto, con tutti i loro infiniti movimenti e significati, realizzano le mie intenzioni già prima che io le pensi nella continua comunicazione di me-corpo in relazio­ne con il mondo.
Abbiamo perso il significato dell’importanza del corpo perché siamo tutti figli della cultura di appartenenza, quindi non abbiamo la possibilità di essere neutrali, ognuno di noi è più figlio di ciò che gli altri gli hanno detto e insegnato che di se stesso.
In sintesi l’impossibilità di conoscere il reale ‘mondo della vita’, non è un limite intrinseco alla razionalità dell’uomo, ma è piuttosto un problema psicologico, cioè un problema di co­scienza, in quanto le logiche razionali sono ‘dis­sociate’ dal quantico esistenziale psicobiologi­co, significa che bisogna cambiare per come la natura ci ha posto e non per come ci pensiamo.

Fondazione Homo Novus

a cura di Dott. Maurizio
Borri

Dott. M. Borri, ” Pedagogia e progetto di natura”,

Evento “La giornata dello studente”,

presso Istituto Istruzione Superiore F. Bisazza, Messina.

Premessa generale.

Il cosiddetto “disagio giovanile”  è un fenomeno più evidente e drammatico in tutte le società in cui ci sono maggiori disponiblità culturali, economiche, tecniche. L’andamento dei cosiddetti NEET (Not in Employment and not in any Education and Training), cioè i giovani – tra i 15 ed i 29 anni – che non studiano, né lavorano, in Italia raggiunge la percentuale di oltre il 21,8% una delle performance peggiori della comunità europea (dati Eurostat).

E’ un fatto evidente che oggi più di ieri i giovani siano carichi di problemi.

Lo sanno le famiglie, lo sa la scuola, lo sanno gli studiosi (pedagogisti, sociologi, educatori, psicologi e psichiatri), e lo sa molto bene tutto il settore dei mezzi di informazione e comunicazione costituito dai mass media.

Dopo secoli le scienze dell’educazione sono ancora in stallo tra due dilemmi: il rapporto natura-identità umana ed il rapporto individuo-società.

La crisi di fondo delle varie forme educative è che tutte ignorano che esiste un “progetto di natura” che fa di ogni bambino – quindi di ogni potenziale uomo – una identità unica e irripetibile.

Il progetto di natura.

Il progetto di natura implica sia il proprio corpo che il proprio quantico di intelligenza.

Ognuno di noi si conosce e si ritrova attraverso il corpo che possiede. Senza corpo non c’è identità, è una specie di conformità di memoria. Io sono questo corpo che possiedo, cioè il nostro corpo possiede una sua identità che mi rappresenta, che dice chi sono io. Il corpo è e rappresenta una sintesi poderosa di valori da conoscere per costruire la propria autostima. Ad es giudicarsi belli o brutti crea una immagine di sé che avrà ripercussioni morali sui comportamenti con annessi stili di vita.

Quindi il primo passo da fare è imparare a conoscere il significato del valore del proprio corpo. E’ un valore in quanto costituisce una parte del nostro personale progetto di natura.

Così come il neonato apprende se stesso – attraverso l’uso totale del proprio corpo –  altettanto qualsiasi giovane deve ripristinare l’esattezza di coscienza basata sulla propria sensibilità corporea, significa che bisogna sapersi amare per come siamo, attraverso il corpo che abbiamo. Tutti noi siamo stati deviati da questa sensorialità e adesso non siamo più padroni dentro la nostra pelle e quindi non capiamo più i nostri istinti.

Oltre al corpo abbiamo in dote altre due funzioni, l’intelligenza e la volontà e anche loro fanno parte del progetto di natura. Però – mentre il corpo cresce da solo, sotto la spinta della natura – sia l’intelligenza che la volontà sono funzioni che bisogna evolvere. Diciamo che all’inizio sono solo virtuali, ma si possono evolvere attraverso l’esperienza della relazione con gli altri (famiglia, amici, scuola etc.) cioè attraverso la relazione sociale. Virtualità significa forza con direzione, cioè selezionare l’ambiente in modo specifico secondo il proprio progetto di natura.

Come esempio pensiamo al seme che possiede integra la virtualità dell’albero adulto, cioè da una ghianda può svilupparsi solo ed esclusivamente il progetto di natura che chiamiamo quercia e null’altro. Quando un giovane si dimentica o abbandona il progetto del proprio esistere, si estranea dal proprio unico citerio di realtà, cioè da se stesso. Nessuna cosa al mondo è più reale per se stessi di se stessi.

L’unico strumento di conoscenza per l’uomo è l’uomo stesso, conforme al proprio progetto.

Sembra un fatto ovvio eppure nessuno si è mai preoccupato di ciò. E l’ordine nasce da qui.

La dinamica di crescita è avvertita dal giovane come irrequietezza, bisogno di affermazione, sano egoismo, quindi bisogna incoraggiare il giovane a mettersi in gioco, senza sostituirlo, deve imparare a fare partendo da se stesso, dalle proprie potenzialità.

Ogni giovane deve individuare tre punti:

 1) Cosa sa fare.

 2) A che fine, per quale progetto.

 3) Quanta fedeltà e volontà ogni giorno mette nel costruire il proprio progetto.

Il disagio giovanile nasce per un senso di acuta insoddisfazione che si manifesta già nel periodo che va dai 6/7 anni sino ai 14/15 anni.  E’ una necessità interiore, vaga ma ben distinta, che impone l’investimento di tutto se stessi in qualcosa di eccellente e assoluto.  Dalla fase puberale in poi si verifica un grande contrasto tra la fortissima urgenza del giovane ad affermare le sue capacità ed i limiti imposti dal sociale.

Formarsi non è facile, le distrazioni sono molte ma non si può bluffare con se stessi, quindi occorre umiltà e prudenza nella conoscenza di se stessi, al fine di evitare di colpevolizzare l’esterno mentre siamo proprio noi che non vogliamo o non sappiamo come crescere.  Si può fare teatro con gli altri ma mai con se stessi. L’autorealizzazione si misura esclusivamente dalla capacità di essere felici, cioè dalla soddisfazione ottenuta dai tanti traguardi pratici ottenuti.

Attraverso la verifica dei risultati pratici ottenuti, ogni giovane ha la consapevolezza di essere responsabile di tutto ciò che gli accade, nel bene come nel male, senza la possibilità di giustificarsi con alcun tipo di “buona fede”.

La responsabilità verso la propria crescita, implica l’uso di una adeguata morale al fine di fare bene se stessi all’interno di un sistema sociale fatto di più persone. Significa che il giovane deve apprendere l’uso della doppia morale come valore aggiunto.

La società non è l’insieme degli individui ma piuttosto il tessuto all’interno del quale

ciascun uomo – al pari di una cellula – si specifica, si nutre e si evolve.

Il tessuto sociale è la palestra di vita attraverso la quale ognuno di noi ha la possiblità sia  di affermazione che di errore.

I due fattori allarmanti.  

Sia la pedagogia che la psicologia devono affrontare due situazioni di fatto:

 1) l’aumento del deficit di attenzione e della iperattività nei bambini e negli adolescenti;

 2) la potenza del cellulare;

L’evidenza di una deviazione psicologica nei giovani dai 14 ai 35 anni facilita una coscienza incapace di fare autorealizzazione egoica secondo il proprio progetto di natura.

Gli effetti portano a comportamenti quali: biologismo, idealismo critico e consumismo.

Biologismo“; nel senso di un sottolineamento eccessivo del corpo e di finalizzazione

                      della vita alla riproduzione biologica.

Idealismo critico“; cioè il giovane evita il compito ed il sacrificio di costruire se stesso,

                               guardando gli errori degli adulti.

Consumismo“; moda, musica, sesso, linguaggio etc., cioè tutto ciò che li possa

                         contraddistinguere in quanto “diversi”.

L’uso di questi stereotipi conduce ad una svalutazione del proprio senso-valore, inoltre portano a dei vizi: sessomania, alcolismo, tossicodipendenza, asocialità (delinquenza), psicosomatica pesante, superficialità del potere digitale.

Una volta individuata l’identità propria di ogni giovane, se riusciamo a fare una pedagogia che consenta lo sviluppo del progetto di natura, come risultato avremo un giovane prima di tutto sano e poi in grado di realizzare la propria esistenza in modo creativo. 

Relazione Uomo, animale e progetto di natura.

a cura di Dott. Maurizio
Borri

M. Borri, ‘Lizori bottega d’arte umanistica’

La Fondazione Homo Novus, in qualità di Fondazione umanistica volta al miglioramento dell’umano in senso lato, promuove e partecipa ad eventi relativi ad aspetti correlati con l’esistenza e sicuramente il rapporto uomo animale è un interessante riferimento verso gli animali domestici da compagnia.

Di recente è stata costituita  la Fondazione Frida’s Friends la prima Fondazione interamente coinvolta nella divulgazione e pratica della pet therapy, dalla precedente Associazione omologa.

Grazie alla collaborazione tra le due fondazioni lunedi 24 sera si è tenuto un seminario dal titolo: Relazione uomo – animale e progetto di natura.  Al seminario hanno partecipato il Presidente della Fondazione Frida’s Friends Dott. Marco Colombo e la Dott.sa Tiziana Gori che da circa 25 anni promuove la pet-therapy in Italia, e si occupa dei relativi progetti di divulgazione. 

Per la Fondazione Homo Novus erano presenti il Presidente ing. G.F. Grassi e il Vice Presidente Dott. Maurizio Borri. Il video relativo all’intero evento è disponibile sul sito della Fondazione Homo Novus. 

Iniziamo con una sintesi relativa alla PET- Therapy, di Marco Colombo Presidente Fondazione Frida’s Friends,  per proseguire poi con la relazione Uomo, animale e progetto di natura.

Il termine PET-Therapy, coniato nel 1964 dallo psichiatra infantile Boris M. Levinson, si riferisce all’impiego degli animali da compagnia per curare specifiche malattie. In Italia, questo termine è stato recentemente sostituito con quello più appropriato di interventi assistiti con gli animali (IAA), che consente di distinguere tra diverse tipologie di approcci, a seconda che prevalga la componente cosiddetta ludico-ricreativa (attività assistita con gli animali, AAA), quella educativa (educazione assistita con gli animali, EAA) o quella terapeutica (terapia assistite con gli animali, TAA). (n.d.r fonte wikipedia)

La Fondazione Frida’s Friends ha ribadito l’importanza per l’uomo della compagnia di un animale, per  affrontare più facilmente la solitudine. I nostri amici pelosi, affettuosi e festosi riempiono le nostre giornate di buon umore e riescono ad alleviare lo stress accumulato soprattutto in questo lungo e tormentato anno caratterizzato dal Civid 19. Si chiama Pet Therapy locuzione anglosassone che sta per ‘terapia dell’animale domestico’, viene utilizzata per la cura dolce o di appoggio verso i vari disturbi dovuti a stress, solitudine o del comportamento in quanto concentra il paziente sull’affetto nei confronti di un animale domestico, in genere un cane, un gatto, un coniglio, oppure un asino o un cavallo. Questi sono i 5 animali omologati per le attività di Pet Therapy dalle linee guida dell’istituto di zooantropologia didattica delle Venezie.

Attualmente i progetti di PET-Therapy sono stati realizzati in ospedali , Rsa, scuole e aeroporti.

È importante essere presenti nelle scuole per educare con valori importanti le nuove generazioni. Il rapporto con forme di vita diverse diventa fondamentale nella crescita dei bambini, dà responsabilità, insegna il giusto approccio verso l’animale e consente di avere la giusta autostima nelle relazioni. Oggi le notizie di cronaca mostrano quanto i valori siano spesso assenti nelle nuove generazioni di giovani, prova ne è le varie violenze gratuite sugli animali, baby gang, pestaggi di gruppo. 

Per quanto concerne la mia esperienza personale, essendo cresciuto circondato sempre da animali da compagnia, ho fermamente creduto nel potere dei nostri amici a quattro zampe e nella connessione fra uomo e natura. Gli animali da compagnia portano un’energia positiva a tutte le persone siano essi paziente o gente comune: quando si entra in casa e si viene accolti da un cane o un gatto, scatta automaticamente una predisposizione emotiva al buon umore il cui effetto porta a mettere da parte tutti le tensioni accumulate durante la giornata. Durante questo periodo pandemico è incrementata in maniera sostanziale la vendita di ansiolitici. Siamo tutti a conoscenza che  nei mesi di lockdown i più piccini hanno subito psicologicamente lo stress da solitudine essendo stati privati delle loro abitudini quotidiane, come l’andare a scuola, il giocare con gli amici o andare al parco o al cinema. Tutte dinamiche improvvisamente venute meno che hanno causato grandi momenti di destabilizzazione emotiva. Questa purtroppo è la fotografia della realtà post covid. Volendo fare un focus su quanto successo in questo ultimo anno di pandemia, abbiamo dati che confermano quanto i casi di stress e ansia siano cresciuti a dismisura. Un esempio, nel reparto pediatrico psichiatrico degli spedali civili di Brescia dove siamo presenti con un progetto, nell’ultimo anno i pazienti sono aumentati del 450%. 

Molti anziani soli hanno paura del “nuovo mondo” , non riescono a dormire di notte, vivono perennemente in ansia. Tutte queste situazioni ci portano a dire con fermezza che i vari progetti di Pet Therapy potrebbero e “dovrebbero” essere presenti nei principali ospedali d’Italia, scuole. Addirittura avevamo presentato già lo scorso settembre un progetto nostro a Regione Lombardia per portare la pet therapy a domicilio. Dedicata alle persone sole e/o ai bimbi disabili che col covid hanno perso qualsiasi tipo di assistenza sanitaria. Siamo in attesa di reperire i fondi. Tutto questo nostro “esserci” è determinato dal fatto che come è stato dimostrato scientificamente nei nostri 10 anni di progetti realizzati, dove c’è ansia, stress, difficoltà di relazione umana, ricerca della propria autostima la Pet Therapy ha sempre potuto essere un valido supporto. Fino a diventare una soluzione definitiva in molti casi. Logicamente una terapia con NESSUNA controindicazione.

Tecnicamente gli I.A.A sono delle interazioni spontanee tra l’animale terapista e il paziente. Quindi tramite queste interazioni naturali è possibile stabilire un contatto, aprire una porta a livello psicologico nella mente del paziente e poter iniziare la terapia vera e propria da parte dell’equipe medica che collabora con l’animale terapista. Possiamo affermare che specialmente per i casi di autismo, difficoltà di relazioni, stress, ansia e vittime del bullismo l’animale terapista diventa un “catalizzatore” in grado di connettere i pazienti con il medico, una connessione che spesso proprio per le particolarità psicologiche diventa difficile o impossibile. L’animale riporta ad una dimensione più umana, più naturale. Riesce a trasmettere serenità e sicurezza . Questa è una spiegazione tecnica di come la connessione astratta dell’energia conosciuta come EMPATIA diventa importante e fondamentale negli interventi di Terapia Assistita con Animali.

L’uomo per natura biologica e antropologica è parte della natura; è connesso alle dinamiche e alle energie del mondo che ci circonda e ci ospita da sempre. La natura e gli animali fanno parte in qualche modo del nostro “dna”. Abbiamo bisogno di quella energia e di quella visione. È scientificamente provato che passeggiare in un bosco “verde” abbassa il nostro livello di cortisolo, così come accarezzare il pelo caldo e morbido di un cane o un gatto. Un uomo non potrebbe sopravvivere in un mondo senza questi “contatti” o “visioni” . Parlo di “visioni” perché anche solo visivamente guardare un animale da affezione provoca nella psiche umana una diminuzione dello stress. Un aumento della serotonina. 

Ecco che grazie a questo legame energetico antropologico tra uomo e Natura in senso lato, gli I.A.A o semplicemente la Pet Therapy diventano una terapia vincente e curativa in tantissime patologiche psico-fisiche.

 Se cerchiamo soluzioni positive a questo ultimo anno di vita dove la negatività ha regnato sovrana possiamo tranquillamente dire che i nostri progetti sono una soluzione e un aiuto importante. Una soluzione già presente e consolidata, che quindi non va “rodata” ma solo applicata e proposta in modo massivo e professionale.

Fondazione Homo Novus.

Intervento Dott. Maurizio Borri, psicologo, ricercatore e operatore olistico.

Premessa di carattere bio-energetico riguardo il concetto di informazione.

Nell’esistenza tutto è informazione. In natura qualsiasi cosa comunica e questa comunicazione base di ogni cosa è informatica esistenziale, cioè campo di informazione energetica.

Questo significa che ogni specie vivente è una unità informatica, cioè una unità rice-trasmittente specifiche informazioni e sempre costantemente connessa ad un universo informatico che chiamiamo “esistenza”.

Ogni specie vivente fa fede esclusivamente al proprio progetto di natura rappresentato dalla propria identità di forma.

La forma delle varie specie viventi specifica e distingue l’identità di appartenenza. L’identità rappresenta l’informazione che la specie vivente comunica di se stessa all’ambiente circostante. Ad esempio l’identità di un leone comunica cosa significhi per ognuno di noi, l’immagine di un leone.

E’ ovvio che questa comunicazione subisce poi tutto il filtro della cultura, della storia, della razza di appartenenza, del territorio e della religione di cui ogni essere umano fa parte.

In natura ogni animale è autentico in quanto non ha subito la deviazione dal proprio progetto di natura, mentre l’uomo – già dai primi anni di vita –   attraverso l’educazione apprende le molteplici informazioni a carattere socio-culturale  del gruppo di appartenenza. Un bagaglio di nozioni che, progressivamente ed in modo esponenziale, allontanano ognuno di noi dall’identità di se stesso.

Gli effetti più evidenti di questa carenza di identità si riscontrano in una inibizione e quindi modificazione del processo istintivo, prova evidente è il fatto che nessuno di noi possiede più la percezione totale del proprio corpo e questo stato ci impedisce l’uso integrale del proprio corpo. 

Quando un essere umano si adopera in modo parziale, cioè non usa il proprio corpo come strumento totale psico-organico, non può pretendere garanzia di esattezza di percezione, in quanto misurerà tutto il reale che lo contatta sempre in modo approssimativo e parziale.

E’ sufficiente osservare gli animali allo stato libero per renderci conto che hanno mantenuto sia un istinto integrale che una capacità di percezione esatta, il che significa che, in ogni cosa, interagiscono in modo totale.

Da un punto di vista scientifico queste considerazioni trovano ampio riscontro in tutti gli studi fatti dal grande fisiologo russo I.P. Pavlov che dimostrano come un condizionamento esterno possa alterare il rapporto stimolo-risposta, favorendo la nascita di un riflesso condizionato.

Abbiamo fatto la premessa che in natura qualsiasi cosa comunica e che questa comunicazione base è informatica esistenziale, cioè campo di informazione energetica. Quindi la positività della relazione uomo-animale è data dal fatto che viene attivata la  sinergia contemporanea di una informazione di natura, cioè l’animale fa da trade-union o ponte per il passaggio di una informazione bio-energetica.

Questo accade perché sia il corpo dell’animale che il corpo dell’uomo sono sempre connessi e regolati dalle leggi biologiche di natura, quindi entrambi emettono e ricevono informazioni, anche se in maniera diversa.

Sappiamo che le emozioni nascono dall’interazione del proprio corpo con l’ambiente circostante, quindi attraverso la relazione di contatto con l’animale passa questa informazione di carattere chimico-biologico che interagisce con il corpo biologico umano favorendo emozioni positive.

In tal senso la pet-therapy – intesa come terapia di appoggio – grazie ai suoi risultati non fa altro che confermare che evidentemente esiste già a monte una comunicazione base che la natura stabilisce tra le proprie individuazioni e questa comunicazione coinvolge anche l’uomo che però non la rileva in quanto non possiede una percezione integrale del proprio corpo, cioè non si conosce per ciò che è. Soprattutto la zona che va dai genitali coinvolgendo le viscere sino al plesso solare è un altissimo radar di risonanza percettiva corporea.

Purtroppo tutta l’educazione che ogni bambino subisce sin dai primi anni di vita, non fa altro che sviluppare l’aspetto cerebrale (soprattutto la corteccia) a discapito di tutta la capacità percettiva corporea che la natura ci dà in dote. Ecco perché l’uomo – rispetto all’animale – non conosce le potenzialità del proprio corpo e quindi si usa solo in parte.

Il corpo quindi si pone come primo mediatore fenomenologico di ogni realtà afferente e si specifica nella relazione del contatto.

Contatto significa che questa informazione agisce una dinamica bio-percettiva. E’ biologica in quanto è una informazione che si struttura nel corpo come medianicità di intenzione reale, quindi è una realtà universale in quanto si attua esclusivamente sui canali di informazione delle sintesi afferenti degli organismi biopsichici.

Questa è la dimensione di realtà che costantemente siamo sia a livello conscio che inconscio.

La pet-therapy non responsabilizza ma aiuta in modo temporaneo a riequilibrare la normotipia biologica del corpo dell’uomo. Il fatto stesso che l’animale dopo circa 30 minuti si stanchi e necessiti di un nuovo sostituto, dimostra il travaso energetico tra il biologico dell’animale e quello dell’uomo. Esattamente come quando colleghiamo una batteria carica ad una scarica, avviene il passaggio energetico e quella carica cede energia a quella scarica. Essendo un rapporto tra specie biologiche la pet therapy è comunque da preferire a tutte quelle terapie da appoggio che prevedono farmaci antidepressivi e/o ansiolitici.

L’uomo al pari dell’animale nasce potenzialmente perfetto ma possiede un bagaglio neuronale superiore a qualsiasi specie vivente (100.000 milioni di neuroni), il fatto stesso che ne usi solo il 20% dovrebbe far destare il sospetto che non si adoperi secondo le sue naturali possibilità. L’uso parziale di sé stessi (ambiente interno), implica una conoscenza parziale rel reale mondo della vita (ambiente esterno).

In tal senso conoscere qualcosa significa dare un significato a ciò che è percepito dall’ambiente esterno. Questo significato è molto soggettivo e indica il modo e l’intensità che ognuno di noi possiede nel percepire e quindi conoscere l’altro o le cose o le situazioni.

Un inquinamento della percezione ed un uso parziale di se stessi è già un inizio per un futuro disagio esistenziale che può provocare effetti di natura psicosomatica.

Strumentalizzando il periodo storico che stiamo vivendo, credo sia evidente a tutti noi come sia possibile vivere modificando le proprie abitudini come  adattamento all’interno di un condizionamento sociale di massa. Il disagio psicologico che tutto questo comporta è stato evidenziato dalla più avanzata ricerca psicologica che ci dice che la maggioranza delle persone non si conosce per ciò è, quindi né sa usare il proprio potenziale di intelligenza, né sa gestire i propri istinti. Quando un essere umano non conosce le proprie potenzialità significa che è inconscio a se stesso. La realtà dell’inconscio è un fatto che provoca una dinamica che anticipa e gestisce tutte le nostre aspettative razionali. Da una attenta analisi la prova è data dai risultati pratici ottenuti, che non sono mai uguali a quelli previsti nella premessa. In natura qualsiasi rapporto è basato sulla massima resa, cioè la natura è economica e senza sprechi, mentre l’agire dell’essere umano appare quasi sempre dispendioso rispetto al fine. Questo dispendio energetico provoca quasi sempre frustrazione e malattia.     

Lo stato di salute in natura è la norma comune. La salute è innata ed è indice di coincidenza con il proprio naturale progetto di esistere. In natura tutti gli animali sono sani in quanto conformi all’identità del proprio progetto, solo l’essere umano appare contraddittorio e ciò è dovuto al fatto che ogni scelta non conforme al proprio progetto, risulta “contro-natura” e quindi determina angoscia, sofferenza e malattia.

Unica via di uscita è arrivare a conoscere il proprio progetto di natura e da qui riorganizzare la propria esistenza in modo conforme cioè porre le basi per una esistenza felice e realizzata attraverso l’autorealizzazione creativa.

Fondazione Homo Novus.

Intevento Gian Franco Grassi, consulente e psicologo aziendale

Tutta la ricerca antropologica ci informa sul fatto che l’uomo è dotato di qualità psichiche che lo rendono superiore rispetto a qualsiasi animale.

All’interno di qualsiasi processo informatico il più organizzato organizza il meno, quindi all’interno di una interazione uomo animale, è facile che quest’ultimo divenga dipendente soprattutto se preso cucciolo. Ogni specie vivente è sempre connessa ad un universo informatico che chiamiamo natura. All’interno di questa rice – trasmittenza, ogni specie animale possiede canali preferenziali di omeostasi. La FHN può intervenire nella relazione uomo-animale grazie ad avanzate conoscenze di psicologia quantistica e oltre, che permettono di migliorare la qualità della relazione. Intervenendo direttamente sul fattore umano si vuole ripristinare la qualità del rapporto, evitare la dipendenza patologica ma soprattutto fornire strumenti di conoscenza che siano sempre operativi nel rispetto della reciproca natura anche se differenziata per funzione. Poter favorire una relazione gratificante nel rispetto della natura dell’animale è una forma di pedagogia funzionale per l’uomo, quindi aiuta a sviluppare le qualità che da questa interazione possono emergere.

L’uomo al pari di ogni specie vivente, è connesso ad una informazione base che regola le leggi dell’ordine universale del cosmo. Ma l’uomo differisce dall’animale per la qualità delle funzioni rappresentate dall’intelletto, dalla volontà, dalla trascendenza, dall’intuizione, dalla capacità di sognare, dalla capacità mentale dell’astrazione, dal linguaggio e soprattutto per la funzione riflessiva della coscienza.

La funzione crea l’organo

Parlando di teoria dell’evoluzione, si pensa subito a Darwin, non tutti sanno che è quella maggiormente conosciuta tra le  diverse teorie esistenti, ma non è la spiegazione unica del fenomeno “evoluzione”. Il primo infatti ad aver formulato una teoria evoluzionistica coerente e completa è stato  Lamarck, pubblicata nel 1809, anno in cui nasceva Darwin.  La teoria di Lamarck si basa su un principio base – la funzione crea l’organo – per il quale la variazione degli organismi è dovuta all’azione dell’ambiente tramite l’uso e il non uso degli organi. Secondo Lamarck, cioè, non sono gli organi che hanno dato luogo alle abitudini e alle facoltà particolari degli animali ma, al contrario, sono le sue abitudini e la sua maniera di vivere che hanno, col tempo, costituito lo stato dei suoi organi. Esempio tipico il collo spropositato delle giraffe che è l’effetto di un sforzo – durato per molte generazioni – di brucare foglie sempre più alte. Quindi gli sforzi fatti abitualmente, attraverso certe parti di un corpo vivente, per soddisfare dei bisogni richiesti dalla natura o dalle circostanze, estendono queste parti e fanno loro acquisire delle dimensioni e una forma che altrimenti non avrebbero mai ottenuto. A seconda dell’utilizzo che si fa di un organo, quindi di come si interagisce con l’ambiente, si modella e si determina anche la sua struttura.

Il principio la funzione crea l’organo può essere visto pensando a quello che succede nel concreto a livello neuronale quando si fissa una abitudine. Pensando e agendo sempre in quel modo, i neuroni coinvolti nella sequenza si irrigidiscono fra di loro, si riducono numericamente le terminazioni nervose dei neuroni coinvolti e, soprattutto, sono tagliate le connessioni con gli altri neuroni circostanti in quanto non utilizzate e questo per un principio di economia energetica. Si crea  un circolo vizioso dove i neuroni coinvolti nella attivazione della abitudine si isolano dagli altri e quindi si attivano continuamente tra loro stessi. Si crea una specie di percorso preferenziale che agisce esattamente come su internet non appena ci colleghiamo ci propone immediatamente situazioni che potrebbero interessarci perché già visualizzate, l’esempio informatico dovrebbe far capire la importanza dei pensieri soprattutto dei pensieri fissi e ricorrenti in quanto preorientano le scelte successive, in fondo il nostro cervello cerebrale è un grande elaboratore e funziona nello stesso modo di un computer.  Esattamente il contrario avviene invece in caso di sensibilizzazione, che indica la forma di apprendimento attraverso la quale è possibile annullare gli effetti dell’abitudine, infatti si danno variazioni delle funzioni neuronali  che sono di segno opposto a quelle dell’abitudine: l’addestramento ad un tipo di stimolo imprevisto o nuovo può produrre un raddoppiamento delle terminazioni sensitive dei neuroni, così come della loro capacità di essere attivi, cioè di liberare neurotrasmettitori. Questo a dimostrazione che la natura di per sé vuole la novità in prima istanza poi subentra la esperienza e quindi il ripetersi di una azione.

Prima di Lamark alcune ipotesi evoluzionistiche furono avanzate da alcuni naturalisti o filosofi fin dall’antichità, a partire da Anassimandro ma generalmente, prima di Lamarck si riteneva che le specie esistessero così come esse erano state create, secondo quanto detto nella Genesi biblica, e che fossero rimaste immutate durante tutta la storia della Terra. Questa teoria è detta fissismo ed ancora oggi essa trova credito presso alcune confessioni di fondamentalisti biblici. In realtà questo evidenzia una non conoscenza delle leggi di natura.

Lamarck fu il primo ad elaborare un vero e proprio modello teorico dell’evoluzione. A partire dalle sue osservazione sugli invertebrati, elaborò l’idea che gli organismi, così come si mostravano in natura, fossero in realtà il risultato di un processo graduale di modificazione che avveniva sotto la pressione delle condizioni ambientali. Formulò, perciò, l’ipotesi che in tutti gli esseri viventi sia sempre presente una spinta interna al cambiamento che sarebbe prodotta da due forze: la capacità degli organismi di percepire i propri bisogni, e la loro interazione con l’ambiente in funzione di un migliore adattamento. Entrambe possono essere vere se le manteniamo nell’ottica del progetto di natura, concetti di identità, di intenzionalità e di utilitarismo funzionale.

Da un punto di vista biologico, invece, l’avvento dell’epigenetica ha portato alcuni studiosi a rivalutare le teorie di Lamarck, tanto che si è arrivati a parlare di rivincita di Lamarck. Si è infatti osservato come il fenotipo di un individuo non sia solo l’espressione delle informazioni contenute nel DNA, ma sia fortemente influenzato anche dall’ambiente, che può agire sul genoma mediante meccanismi di tipo epigenetico; degli studi condotti evidenziano inoltre la possibilità di trasmettere alla progenie alcune modificazioni epigenetiche, quali quelle causate dalle infezioni virali o dalla nutrizione materna. In generale, comunque, a causa della necessità di chiarire molti aspetti dell’epigenetica, gli studiosi sono cauti nel riabilitare le teorie lamarckiane che comunque sono ritenute non valide al livello macroscopico interessato dal principio dell’uso e del disuso.

Di fatto comunque si tratta di discussioni in quanto rimane il fatto che natura non procedit per saltum e quindi una teoria evoluzionista non può presentare salti, occorre ricondursi al progetto di natura che poi sicuramente è soggetto a variazioni ma sempre all’interno del progetto, pensiamo per es alla nostra generazione post seconda guerra, di colpo l’altezza media è aumentata tanto e questo per un effetto di intenzionalità come sviluppo in altezza segno di benessere, buona nutrizione e condizioni di vita in generale.

Questo è possibile perché, la storia evolutiva dell’uomo e degli animali domestici, cane, gatto, cavallo, asino, bue, coniglio, è stata segnata da costanti  incontri su varie motivazioni comuni e condivise.

Il cane è un predatore come l’uomo, per questa ragione  è stato semplice, inizialmente, aiutarsi nella caccia e averne dei vantaggi reciproci. Anche il gatto è un predatore di piccole prede, che ha trovato nell’uomo un amico, adoperandosi a liberare i granai dai roditori in cambio di ospitalità e affetto.

Pure con il cavallo, l’asino, il coniglio si è istaurato un rapporto, inizialmente su base utilitaristica: l’uomo li ha usati per il lavoro o per il sostentamento ma, con il passare del tempo, hanno acquisito lo status  di compagni che danno un sostegno emotivo.

Il rapporto tra l’uomo e gli animali ha avuto, e in certi casi ha ancora, dei momenti conflittuali e di sfruttamento da parte umana ma, progressivamente, le cose sono cambiate, l’animale non è più un essere inferiore da sfruttare e maltrattare ma un essere vivente con delle peculiarità da conoscere.

Darwin, con la sua teoria sull’origine delle specie, dimostrando la piena continuità tra gli esseri umani e gli altri esseri viventi e negando l’antropocentrismo ha promosso indirettamente la ricerca scientifica sul comportamento e sulla mente animale. L’uomo, dopo Darwin, non è più al centro del mondo ma è parte di esso, ha diritti e doveri verso gli altri esseri viventi, per cui la mentalità volta allo sfruttamento è cambiata in mentalità collaborativa. Se però ci soffermiamo un attimo al periodo storico dell’ umanesimo rinascimentale si può vedere come invece anche con concezione uomo al centro si possa dare pieno risalto alla evoluzione dell’uomo e dell’ambiente, d’altronde già con Darwin ancora in vita le sue posizioni furono contestate, ma come sempre occorre vedere il buono e quindi anche questa fase è stata utile per un progresso o meglio un recupero perché quando si guarda attentamente si vede che nihil novi sub sole e quanto sembra conquistato oggi in realtà era già molto ben conosciuto nel passato.

Konrad Lorenz, zoologo ed etologo austriaco, considerato il padre della etologia scientifica, definita come ricerca comparata sul comportamento, con i suoi studi su comportamenti innati e su imprinting definito come la fissazione di un istinto innato su un determinato oggetto ha contribuito sicuramente a riavvicinare la attenzione al mondo animale. Al di là di altre considerazioni,, è interessante il concetto di imprinting visto in riferimento al condizionamento che l’ambiente esterno puà creare in un essere umano, nei suoi primi anni di vita.

Ad oggi agli animali viene riconosciuta la dignità di esseri senzienti, capaci di provare  emozioni, di sentire piacere e dolore, di fare cose perché motivati, ossia perché provano piacere. Ciò implica che tra gli esseri umani e gli esseri animali la relazione deve basarsi sulla comprensione delle differenze, sull’accettazione di queste e sulla collaborazione, in pratica di poter ottenere dalla relazione quanto la relazione stessa può dare.

La zooantropologia e  le scienze comportamentali hanno riconosciuto questo principio e hanno offerto all’uomo  strumenti per relazionarsi in modo corretto con gli animali.

Ippocrate settecento anni prima di Cristo consigliava la convivenza con gli animali come supporto per la cura dello stress e dell’insonnia, da allora gli animali hanno sempre avuto un ruolo nella salute dell’uomo, nonostante fossero considerati alla stregua di automi.

Vitruvio indicava quali animali utilizzare per scegliere il luogo dove costruire la casa e su come posizionare le stanze. Famosi sono i cavalli di alcuni grandi condottieri Bucefalo il cavallo di Alessandro Magno e Asturcone il cavallo di Giulio Cesare.

Oggi, finalmente, questo rapporto ha trovato un equilibrio che, in verità, si era perso non certo per colpa dei nostri amici a quattro zampe, almeno da un punto di vista di relazione e di interesse sociale, rimane però da risolvere il rapporto con l’animale, non basta infatti possedere un animale per poterne vivere un rapporto soddisfacente per entrambi e accretivo per l’uomo.

Come ben sappiamo, spesso l’animale domestico viene scelto per compensare una carenza affettiva e quindi il rapporto è già sviato in partenza in quanto si trasferisce sul piccolo animale tutta la frustrazione e carenza che l’umano prova e soffre, viene fatto uno spostamento sia affettivo che di scarico e compensazione.

Questo si evidenzia dal fatto che molte malattie vengono trasmesse dall’umano all’animale, ci sono molti studi e relazioni presentate in Congressi internazionali che confermano questo fenomeno, così come spesso si nota che il cane prende le sembianze del padrone, gli assomiglia addirittura come fisiognomica, oltre che come comportamento.

Vige la regola che il più organizzato prevale sul meno organizzato, ci dimentichiamo che noi umani abbiamo oltre 100.000 milioni di neuroni e che siamo in grado di esercitare intenzionalità che necessariamente va ad influenzare il cane di turno, il gatto è molto più indipendente e quindi meno influenzabile.

Vedevo ieri su FB un filmato di un addestratore di cani che in soli 15 minuti  con la sua presenza e atteggiamento ha cambiato il comportamento di un pitbull che era difficilmente gestibile, abbaiava a tutti i cani e tentava di aggredirli ed era difficile da tenere, dopo soli 15 il cane era tranquillo, altri cani gli passavano vicino e lui non diceva niente, questo è effetto di intenzionalità, nel caso la intenzionalità dell’addestratore, che ha immesso nel cane una altra informazione.

Tutto questo se vogliamo sarebbe già nell’ordine di natura previsto ma siccome sappiamo bene che l’uomo è inconscio a sé stesso, cosa si può fare per ripristinare questo ordine che può solo portare vantaggi, occorre recuperare la coscienza, la sensibilità della esistenza e questo si può fare con volontà e formazione, esercizio continuo per ripristinare quell’ordine che la natura ci ha dato ma che per tanti motivi non abbiamo mantenuto in esercizio e quindi ora ci troviamo carenti, inconsci a noi stessi, ricordiamo che il bene o male si vede solo dai risultati altrimenti sono opinioni. Ricordiamo anche che  lo stile di vita, le abitudini e i modi caratteriali del soggetto determinano dei percorsi prevedibili che strutturano il corpo in senso patologico e che influenzano sia la esistenza individuale, in tutti i sensi e risvolti, sia l’ambiente circostante di riferimento, familiari, affetti, animali, piante  etc.

Vale la pena precisare che si parla di psicosomatica in riferimento a qualsiasi fenomenologia esistenziale causata da una stereotipia, es: malattia psichica, fisica, ma anche sociale come fallimenti finanziari ed economici, e si parla anche di auto sabotaggio, nel senso che ad una attenta indagine si rileva che qualunque effetto si origina in causa dalla posizione del soggetto, ma di questo parleremo una altra volta..

Quindi in conclusione tutto è buono e positivo quello che permette di ottenere risultati a vantaggio, es l’uso della pet therapy, ma come Fondazione umanistica dobbiamo sottolineare la necessità di ripristinare l’ordine di natura che da solo permetterebbe di condurre una esistenza serena e fatta solo di rapporti positivi e questo vuol dire formazione specifica, per aumentare ed addestrare la nostra sensibilità che ci porta ad entrare familiari con la natura e con tutto l’ambiente naturale, con risultati di crescita di buone relazioni e di soddisfazioni. La nuova figura professionale dell’Interdisciplinay Manager che stiamo costruendo, è la risposta alla necessità di aumentare la sensibilità individuale ed è come dice il termine stesso Interdisciplinare cioè così come la psicologia, si pone prima delle competenze specifiche, in quell’alveo che precede l’azione, pensiero – azione, ed il pensiero è azione psichica ma al contempo progettazione, quindi la soluzione a qualunque aspetto si voglia considerare, rapporti con ambiente con animali, piante, con il sociale, con il lavoro etc, è una formazione specifica che permetta di riprendere il contatto con la Natura, che permetta di modificare le abitudini, gli stereotipi e comportamenti non funzionali, in pratica recuperare la coscienza, per poter avere un reale sviluppo e crescita dell’umano, dall’individuale al sociale e quindi all’ambiente circostante.

Interdisciplinary Manager è la effettiva soluzione concreta che possiamo proporre a tutti coloro che vogliono, in quanto la volontà è sempre prioritaria, volli e sempre volli e fortissimamente volli dell’Alfieri. La applicazione della volontà con metodiche che funzionano, con evidenza di risultati da oltre 40 anni, è quello che la Fondazione è in grado di proporre a tutti essendo una forma interdisciplinare che poi ciascuno applicherà nel proprio campo con maggiori risultati ma anche con maggiore soddisfazione in quanto aumenta la consapevolezza, si riduce lo spessore di inconscio e quindi aumenta il potenziale utilizzabile e tutto questo si trasforma in azione riuscita e sviluppo.

Tra le altre cose aumenta la sensibilità di comunicazione anche nei confronti di animali e piante per esempio, e quindi pensando a San Francesco che parlava agli animali, non è affatto strano né difficile ma bisogna ripristinare quel canale di comunicazione naturale che gli animali di per sé hanno mantenuto, l’animale tende  a mantenere una certa integrità e quindi nel caso della pet therapy a contatto con una persona in difficoltà, aiuta il ripristino della unità di natura almeno nel momento di contatto e per l’animale non ci sono pericoli in quanto lui ha come riferimento il suo proprietario istruttore, è una questione di campi intenzionati e la persona in difficoltà si apre all’animale in quanto rappresenta una alternativa neutra di natura, c’è attrazione naturale. Quindi pensiamo a quanto può essere utile il rapporto con un animale, ma anche con le piante, se viene gestito per come previsto da progetto di natura, una forma di reset piacevole e amorevole, si dice in un famoso film, se vuoi un amico prenditi un cane, e sicuramente può essere una forma di aiuto  e sostegno se vissuta nel modo giusto.

Evento Cultural Heritage

a cura di Dott. Maurizio
Borri

M. Borri, ‘Lizori bottega d’arte umanistica’

Parto da una considerazione: in natura qualsiasi animale nel fare la propria tana possiede già una innata architettura, altrettanto l’uomo, attraverso la proporzione etica e logica del restauro può realizzare la forma o identità dell’ordine (vedi prima slide).

Ri-qualificare significa portare nuovo valore aggiunto a quanto già esiste, è la  

capacità di riconoscere ed evolvere un valore in quanto funzione per l’uomo.

L’identità del nuovo valore deve rappresentare la continuità etica ed estetica di ciò che rappresenta in essenza l’etimologia della parola “architettura”.

L’antico significato di architettura ne testimonia l’altissima funzione di ricerca del nesso causale, cioè l’essenza, la ragione di esistere, il fondamento o scopo che attraverso la proporzione restituisce l’ordine originale a funzione umana.

Questo gli antichi lo sapevano molto bene, in quanto  erano in grado di interpretare la saggezza del luogo, cioè decodificare l’informazione del valore identitario, cioè l’essenza della forma, ciò che rende intimo il luogo alle persone e viceversa.

Per contro, quando facciamo sovrapposizioni di identità, perdiamo l’essenza  dell’orinale, oltre al fatto di realizzare un falso storico.

Architettura nasce da tre parole di estrazione pre-ellenica:

“Arché” > il principio;

“Tithemi” > porre;

“Ur – uror” > urgere;

Il significato è “porre il luogo nel modo in cui il principo urge”, cioè “Il principio che pone la forma”.

Quando un luogo incarna la forma del principio siamo di fronte ad un “genius loci”, cioè un luogo il cui valore identitario è finalizzato a significare l’essenza dell’ordine e della proporzione, quindi il luogo comunica un messaggio superiore di qualità che attiva la percezione estetica del bello e dell’ordine.

La FHN ha la sua visione umanistica che fonda le sue radici nella nostra storia. Perché la “Divina commedia” di Dante o il “Cantico delle creature” di S. Francesco a distanza di secoli ancora affascinano l’uomo? Perché sono trasmissione di valore umanistico. Attraverso il contenuto di queste opere viene  comunicato ed esaltato il valore qualitativo dell’uomo. E’ il significato della forma intellettiva espresso in qualsiasi arte superiore. Significativo è l’esempio di Michelangielo che passava ore a scrutare i blocchi di marmo grezzo per individuarne l’implicita forma già in essi contenuta.

La nostra storia è ridondante di queste figure, quasi che la natura – attraverso l’opera di questi uomini – ami sottolineare l’ordine e la genialità a cui essa stessa appartiene. E’ il significato immanente in ogni uomo che si rende prometeico di azione corrispondente al proprio progetto di natura, e gli altri uomini ne riconoscono il senso in quanto anche essi fondati dall’identico principio. Questo significato è l’identico valore che troviamo all’interno di qualsiasi borgo che possa dimostrarsi un “genius loci”.

Questo è il biglietto da visita di borgo Lizori, chiamato così da chi ne ha colto le intrinseche qualità di alto valore umanistico. Lizori è un luogo realizzato a misura d’uomo grazie ad una una ‘forma mentis’ superiore che ha saputo portare valore aggiunto a quanto già esisteva.

Così come un reperto archeologico è la memoria o identità di un popolo, altrettanto un luogo rappresenta l’identità di forma del progetto di chi lo ha pensato e realizzato, quindi è comunicazione verso chiunque è capace di saper leggere l’intrinseco significato. In senso figurato il luogo è la proiezione intenzionale del concetto romano di “res clamat ad dominum”.

Qualsiasi borgo che evidenzia di essere stato realizzato a misura e funzione dell’uomo trasmette e facilita emozioni che possono elevare o quantomeno ripristinare quella dimensione umana che è alla base naturale del nostro vivere, ma che purtroppo oggi è sempre più sostituita dai nostri cellulari o PC.  Ecco perché il borgo piace, perché risuona la stessa musica insita in ognuno di

noi.

La percezione sensoriale di energia positiva tipica di qualsiasi ‘genius loci’ è stata la musa ispiratrice per tutte quelle intelligenze che in questo borgo sono passate, stanno passando e passeranno, quindi è trasmissione di valore umanistico in quanto provoca, fa contatto con l’interiorità di qualsiasi individuo che già possiede una sensibilità verso il valore del vero, del buono e del bello.

Rispetto alla frenesia della città, il borgo – in quanto identità architettonica di un “genius Loci” – è un luogo intimo, circoscritto e mai dispersivo che facilita il contatto con se stessi, quindi apre le varie dimensioni emozionali che vanno dalla poesia, all’estetica, dall’arte al piacere di percepirsi come immanente senso-valore. E’ una presenza che rende possibile la connessione tra l’uomo e la sua divina proporzione.

In tal senso il borgo non nasce per il commercio o per l’economia, ma piuttosto per la convivialità dell’uomo a scopo creativo.

L’uomo che tende alla creatività è un irrequieto costantemente sollecitato all’azione qualitativa, una costante che si evidenzia in qualsiasi cosa faccia. In tal senso è un riformista solitario, perché attraverso l’azione oggettiva, prassica possiamo cogliere la sua funzione per l’uomo, in quanto il suo operato è espressione di valore umanistico e sociale.

Nel borgo la creatività estetica è presente in qualsiasi cosa, dalle sculture in pietra o in ferro alle ceramiche, dai complementi di arredo urbano alla realizzazione delle aiuole e del verde, sino alla spigolosa disposizione dei ciottoli del selciato (vedi seconda slide).

Questa naturale cornice  ha permesso nel tempo una molteplicità di eventi tutti mirati ad una superiore conoscenza, parliamo di, mostre d’arte, defilé di alta moda, eventi culturali e musicali, oltre a convegni e seminari nazionali e internazionali di alta cultura, sia scientifica che artistica. Tante e diverse attività che trovano nel concetto Vitruviano di “uomo al centro”, la loro migliore espressione. Un uomo che attraverso l’azione evidenzia la capacità qualitativa della creatività, dove creatività è sinonimo di intelligenza, interiorità e intuito.

Sono i valori tipici dell’umanesimo che mettono sempre l’uomo al centro. Quale uomo? “L’homo faber” protagonista del proprio vivere. Lizori incarna i valori del protagonismo responsabile di qualsiasi uomo che diventa persona, cioè realizza se stesso all’interno del proprio progetto di natura, ed è grazie a questa filosofia di vita che è stato scelto come valore umanistico da ben quattro Fondazioni a scopo umanistico-esistenziale e due Associazioni internazionali una a rilievo scientifico e l’altra a rilievo artistico.

Come usarlo meglio

a cura di Dott. Maurizio
Borri

Cervello viscerale e Melolistica

Abbiamo due cervelli e uno è nella pancia

Da parecchio tempo ormai si parla del secondo cervello, cervello viscerale o cervello viscerotonico, e anche la scienza ormai ammette questa definizione al punto che di recente anche una pubblicità citava il secondo cervello, quindi vale la pena dare qualche informazione in più e meglio precisare la sua funzione e la relazione con l’altro cervello il primo cervello cerebrale o cerebrotonico.

a cura di Ing. Gian
Franco Grassi

Tutti sappiamo che la “pancia” entra in gioco molto spesso in situazioni differenti dall’alimentazione, ad esempio dover parlare in pubblico, sostenere un importante colloquio di lavoro, avviarsi ad un appuntamento amoroso, affrontare una situazione nuova, possono provocare una stretta allo stomaco. Non a caso molte antiche culture localizzavano nella pancia, più ancora che nel cervello, la sede delle emozioni e dei sentimenti, e come spesso succede la sapienza popolare non sbaglia, e fortunatamente nel tempo viene anche supportata da solide fondamenta scientifiche.

I chakra e la libera circolazione dell’energia

Che la pancia fosse un punto privilegiato nella componente emozionale lo sapevano già le antiche medicine tradizionali, ad esempio in molte tradizioni orientali si parla di chakra, le aree in cui avvengono gli scambi di energia tra il corpo e l’ambiente. Il chakra dell’emozione e della risposta istintiva viene localizzato nello stomaco, ed in occidente viene chiamato chakra del plesso solare, è il terzo chakra, ed in questo modello la salute è rappresentata dal giusto equilibrio dei vari chakra e dalla libera circolazione dell’energia tra di loro e le altre strutture del corpo.

Il plesso solare è una zona che corrisponde alla regione addominale tra l’ombelico e lo stomaco ed il relativo chakra viene strettamente associato ad emozioni e sentimenti, infatti tante volte si usa l’espressione “sento come un pugno allo stomaco” oppure “ho lo stomaco chiuso” quando siamo presi da forti emozioni, sovente in situazioni stressanti o che mettono alla prova i nostri nervi mentre invece in situazioni di innamoramento o emozione, avvertiamo un certo “sfarfallio” proprio a livello dello stomaco, si dice sentire le farfalle nello stomaco.

Il libero fluire dell’energia è sinonimo di buona salute, le culture orientali indicano nei chakra i centri di coordinamento per ogni funzione del nostro essere e se ci sono difficoltà nel libero flusso di circolazione dell’energia si provocano scompensi e carenze nel corpo ed in tutti i livelli dell’essere.

Questo perché un campo di energia è un’entità olistica, vale a dire è un insieme unico tutto assieme, ogni parte di esso influenza ogni altra parte, e noi siamo una parte del tutto allo stesso modo in cui il tutto fa parte di noi, l’energia è una e deve sempre fluire in modo libero, se risulta impedita crea scompensi tipo disagi o psicosomatica, ed inoltre il bilancio energetico deve sempre essere corrispondente, non c’è effetto senza causa e c’è sempre un impegno di energia. Il terzo chakra è considerato di fondamentale importanza perché è il centro di smistamento delle energie, quindi avendo quel chakra libero e nel pieno delle funzionalità, le energie si distribuiscono in modo equo e corretto in ogni parte del corpo, se risulta bloccato porta come conseguenza una visione della vita deludente, poco appagante, senza nessun incentivo o forte motivazione ad andare avanti, si rischia di cadere nella depressione e nell’apatia, lasciando che il pessimismo prenda il sopravvento e stronchi sul nascere ogni volontà di cambiamento, può portare a depressione ed esaurimento nervoso ed alla lunga coinvolgere anche gli organi interni associati alla regione del plesso solare.

Questa è in sintesi la visone orientale.

I due cervelli

Fin dall’antichità si afferma che la pancia è la sede delle emozioni e dell’inconscio; ma per poter avere queste funzioni, occorre che la pancia abbia un “cervello” che possa elaborare i dati autonomamente da quello superiore, e recenti scoperte, studi di neuro-gastroenterologia, hanno confermato che il secondo cervello, quello enterico o addominale/viscerale esiste e che funziona autonomamente da quello superiore, c’è un cervello nella pancia.

Per molto tempo si è pensato che il “primo cervello”, nella testa, avesse la predominanza in tutte le funzioni vitali, ma da quando si è scoperto che tutta la parete intestinale è cosparsa di neuroni legati alle funzioni vitali dell’apparato stesso, si è compreso che vi è una totale integrazione dei due cervelli, separati, ma in sintonia per le funzioni vitali dell’essere stesso. Esiste un asse pancia-testa, la serotonina tiene continuamente aggiornata la testa su quanto avviene nella pancia attraverso un viaggio che avviene dal basso verso l’alto mediante messaggi inconsci, che vengono percepiti solo quando diventano segnali di allarme e scatenano reazioni di malessere. Esempio è la sensazione del “fastidio nello stomaco” durante una conversazione stressante o un esame, emozioni forti pancia-cervello, come nausea, paura, ma anche dolore e angoscia. Il sistema nervoso enterico, secondo cervello, comunica con quello centrale, primo cervello, e quando l’intestino soffre, la persona ne risente anche a livello psichico ma anche quando è in stato di benessere, ad esempio come scarichiamo le nostre tensioni, le paure, la rabbia e il rancore, in caso di una emozione negativa sentiamo la reazione nel nostro apparato gastro-intestinale, ma anche in caso di situazioni piacevoli è dalla pancia che inizia la sensazione di calore che poi si diffonde a tutto il corpo.

Di sicuro è il cervello di sopra nella testa che raccoglie i dati, li elabora suscitando le reazione ed emozioni, ma è la pancia che riferendo la informazione, fornisce gli input che determinano le attività del cervello superiore. Ogni situazione emotiva e/o di cibo cosi come introduzione di farmaci non adatti, generano nel cervello di sotto, intestinale, delle piccole, medie, grandi reazioni, utili ad ogni situazione vissuta nella vita quotidiana, ma non è solo legato alle reazioni al cibo ingerito, ma può pensare, prendere decisioni, provare sensazioni in autonomia, agisce in autonomia rispetto al cervello cerebrale, e fornisce molte più informazioni di quante ne riceva, dà istruzioni e informazioni ma non ne riceve (vedi figura). Quindi risulta accertato che all’interno del nostro corpo sono presenti due cervelli, dal punto di vista evolutivo il Sistema Nervoso Enterico è il nostro primo cervello, innerva tutto il sistema gastrointestinale ed è il nostro collegamento con il mondo esterno, registra tutto quello che succede nell’intestino, sia in relazione a ciò che mangiamo, l’intestino è l’organo immunocompetente più importante del nostro corpo, sia in relazione al potente esercito di microrganismi che ci abita, il microbiota, composto da triliardi di microrganismi, 10 volte più numerosi delle cellule eucariotiche che compongono il nostro corpo, è così articolato nelle funzioni da essere considerato un organo a sé. Il cervello viscerale è composto dal Sistema Nervoso Enterico, dall’intestino e dal microbiota, condiziona, tra l’altro, le emozioni, il senso di benessere o malessere, il tono dell’umore, da notare che il 90% della serotonina si trova nell’intestino e meno del 10% nel cervello cerebrale. Inoltre, il sistema neurovegetativo ha nell’intestino uno dei centri vitali più importanti nel regolare il livello di benessere non solo fisico, ma anche mentale. L’intestino condiziona il cervello, e quindi anche lo stile dei pensieri, oltre che lo stato emozionale, proprio grazie all’azione di sostanze prodotte dall’intestino e di nervi che dall’intestino arrivano al cervello. I triliardi di microrganismi che abitano l’intestino,“microbiota intestinale”, sono i grandi registi della nostra salute, dall’infanzia alla vecchiaia, dalla qualità e dalle patologie del macrobiota dipendono non solo la digestione dei cibi, ma anche la chiarezza del pensiero, il livello di benessere fisico e di energia percepita, e ancora nell’intestino ci sono circa 4 milioni di batteri di diverso tipo, si calcola che ognuno di noi possieda circa 1,5 Kg di batteri su una superficie dell’intestino globale che è circa 400 mq.

Il cervello viscerale o
viscerotonico

A livello di definizione, un cervello è un insieme neurale cioè un sistema di sistemi che adempiono a funzioni differenziate (A. Damasio, Emozione e Coscienza, Adelphi, 2000). Un cervello si trova nella testa, l’altro si trova nei diversi metri di viscere nella pancia e la tipologia dei neuroni è uguale, cioè i neuroni del cervello cerebrale sono uguali ai neuroni che si trovano diffusi nei svariati metri del condotto viscerale.

M. D. Gershon, responsabile del Dipartimento di Anatomia e Biologia cellulare della Columbia University, nel suo libro ‘Il secondo cervello’ (UTET libreria, 2006), afferma che il sistema gastroenterico “è il solo organo a contenere un sistema nervoso intrinseco, in grado di mediare i riflessi in completa assenza di input dal cervello cerebrale o dal midollo spinale”, inoltre ” la scoperta dell’intestino ‘sede indipendente di integrazione ed elaborazione neurale’ costituisce quindi una importante innovazione, un mutamento di concezione della struttura dell’uomo” , e specifica ” il cervello dell’intestino si è evoluto al passo con quello della testa;[…] abbiamo più neuroni nell’intestino che nel midollo spinale, ci sono più neuroni nel sistema intestinale che in tutto il resto del Sistema Nervoso periferico. Inoltre al suo interno è rappresentata ciascuna delle classi di neurotrasmettitori che si trova nel cervello” e con una nota critica afferma ” i neurologi, il cui orizzonte termina al di fuori del cranio, continuano a stupirsi nello scoprire che la struttura e le cellule componenti il S.N.E. (Sistema Nervoso Enterico) sono più simili a quelle del cervello di quelle di qualsiasi altro organo periferico”. Circa le qualità del cervello ‘viscerotonico’, ne ha parlato anche Umberto Solimene dell’Università di Milano e collaboratore OMS per la medicina tradizionale, che spiega ” A lungo l’intestino è stato considerato una struttura periferica deputata a svolgere funzioni marginali. Ma la scoperta di attività che implicano un coordinamento a livello emozionale e immunologico ha rivoluzionato questo pensiero, nella pancia troviamo infatti tessuto neuronale autonomo”, e specifica che nella pancia c’è un cervello che “assimila e digerisce non solo il cibo, ma anche informazione ed emozioni che arrivano dall’esterno” (fonte ‘Il nuovo medico d’Italia, anno VII, n.6 Giugno 2004’).

Di cervello viscerale parla anche Miguel Angel Almodovar, grande divulgatore scientifico, nel suo libro “Intestino secondo cervello” nov 2015, dove l’autore dimostra in modo chiaro e documentato l’importantissimo ruolo giocato dall’intestino per mantenere o recuperare la salute psicofisica. Più specifico e inerente questa relazione è un articolo, dal titolo “Il primo cervello e l’Ontopsicologia”, pubblicato su ‘nuova Ontopsicologia’, (rivista trimestrale, n. 1 Aprile 2001) nel settore inerente la medicina, dalla Dott.ssa Brunilde Dander, libero professionista cardiologo, divulgatore scientifico su riviste sia nazionali che internazionali, che, oltre a citare un ampio articolo inerente l’identificazione di un “Sistema Nervoso Enterico” apparso in Germania sulla rivista GEO n. 11, ( novembre 2000 ) rivista tedesca di divulgazione scientifica in ambito medico (in Italia apparso su ‘Focus’ n. 101, marzo 2001), riconosce all’Ontopsicologia, nella figura dell’Acc. Prof. Meneghetti la scoperta del cervello viscerotonico, identificato come ‘primo’ cervello, già nei suoi libri editi durante gli anni ottanta, specificando in tal senso l’importanza degli strumenti o tecniche di intevento specifici dell’Ontopsicologia (dalla psicoteterapia alla Melolistica), tutti mirati al ripristino e potenziamento del benessere psicofisico e della funzionalità psicoemotiva.

Quindi, da questi dati, il cervello viscerotonico, definito cervello neurogastroenterologico, risulta scientificamente rilevato come struttura autonoma e potenzialmente operativo al pari di quello cerebrale e la sua importanza è dovuta al fatto che dal suo recupero è possibile il ripristino della sanità psico-biologica nell’uomo, cioè le percezioni del cervello viscerotonico sono sempre esatte, reversibili e corrispondenti al reale, mentre, al contrario, il cervello cerebrale può risultare inesatto nel senso di non reversibilità al dato reale, in quanto interviene un effetto distorsivo in base al quale la prima idea è quella giusta ma in genere si esegue la seconda, che dall’esperienza quasi mai è la ottimale per non dire che è sbagliata.

Il mediatore con la realtà esterna, il criterio
organismico

Nella realtà delle cose quindi, il cervello viscerale è il mediatore con il reale esterno mentre il cervello cerebrale è la stanza dei bottoni dove cioè si decide e si organizza l’azione sulla base della informazione ricevuta, è la centrale di comando, detto in termini informatici il cervello cerebrale è una periferica mentre il cervello viscerale è il server, server che riceve analizza e comanda ed il cervello cerebrale si coordina per eseguire. Il fatto che noi percepiamo con la testa vuol dire che siamo già in fase seconda o riflessiva cioè siamo in fase di decisione su come agire ma non è il cervello cerebrale che si muove per primo, la stessa cosa per l’intuizione, la creatività e le relazioni.

Il fatto di ricevere da tutte le afferenz esterne e mediate dal cervello viscerale, che come abbiamo detto è nella realtà esatto, viene definito criterio organismico, quindi, da queste premesse, possiamo dire che la prima responsabilità di ogni uomo, per sé stesso, è il recupero del criterio organismico, come funzione per qualsiasi processo evolutivo psico-biologico, l’uomo sano esercita psicologia funzionale in primis per sé stesso e poi per il contesto ove agisce, sanità e funzionalità sono correlate e reversibili.

Da quanto detto circa i concetti di organismico e viscerotonico è evidente che essere distratti dal proprio corpo vuol dire essere distratti dal proprio radar di informazione universale che rileva non solo ciò che proviene dall’esterno, ma anche le informazioni derivanti dall’interno di sé, indicando se è giusto per noi ciò che si sta pensando e scegliendo, questo in relazione al progetto di natura che ciascuno di noi è.

L’importanza del corpo

Dalla piena funzionalità del cervello viscerale dipende la funzionalità del corpo, che poi si riscontra nell’azione, il mens sana in corpore sano può ad esempio anche riferirsi a questo aspetto, non può esserci un pieno psicologico in un vuoto biologico, e questo sottolinea l’importanza del corpo che è importante per 3 funzioni (Manuale di Melostica pag. 94 Antonio Meneghetti 1996) :

1) Coglie tutte le esigenze. Esso sviluppa la corsa dell’istinto e dà evidenza della motivazione. La risonanza degli organi del corpo è la verbalizzazione della motivazione che conduce al nostro vantaggio.

2) È uno sviluppatore di dati. Per verificare una situazione, un pensiero, un proposito in cui ci si sta impegnando, è sufficiente lasciarlo affondare nel proprio organistico ed ascoltare come risuona la tonalità viscerale

: a) se non si sente alcuna variazione, vuol dire che quella situazione è inutile;

b) se l’emozione si amplifica e si avverte qualcosa che si allarga e abbraccia, significa che quella situazione è funzionale e c’è la propria riuscita; c) se si sente rifiuto, rigetto sfinterico, ritenzione, raccapriccio, freddo, umido, ferro/ruggine, graffio/spine, significa che quella situazione in quel momento non è vitale per il soggetto, è distruttiva. Successivamente a questa verifica interiore bisogna approntare i mezzi.

3) Dà la percezione semantica, cioè della informazione reale, totale, cose,ambiente, persone, é rilevatore dei dati di ogni semantica (informazione reale) ambientale e personale. Usando questo organismo di intelligenza che è il corpo, dopo si è più scaltri e più razionali; si raddoppia il potere della mente. Per questo motivo il monitor di deflessione (meccanismo mentale appreso che devia la informazione nel momento della riflessione prima della decisione) taglia fuori dalla percezione del corpo.

Tuttavia esso può agire nella misura che l’individuo è impreparato tecnologicamente alla conoscenza di come l’intenzionalità psichica si configura nell’interazione uomo – ambiente. “Il corpo è luogo di verifica del principio di realtà e quindi dell’identità egoica.” Tutta la metodica della Scuola Ontopsicologica, scuola italiana, nei suoi svariati strumenti (consulenza individuale, consulenza di gruppo, melolistica, immagogia, cinelogia, residence, psicotea, idromusica solare) è finalizzata al recupero di questo criterio da cui è consentita la libertà e la capacità dell’evoluzione personologica.

Noi tutti abbiamo l’ ombelico, ciò che rimane della recisione praticata al cordone ombelicale al momento della nascita, e dove è passata la vita ora passa la informazione vitale, tramite un cordone invisibile che ci lega al mondo della natura e che ci permette di cogliere ogni reale, animato o inanimato, è il punto di afferenza del grande radar che abbiamo in dotazione dalla natura e che ci permette di rilevare ogni informazione dall’esterno e coglierla nell’aspetto di funzionalità per noi con riferimento al progetto che ognuno di noi è, di conseguenza in base alla informazione reale colta tramite il cervello viscerale ed inviata al cervello cerebrale, secondo il progetto di natura la risposta del cervello cerebrale deve essere la risposta esatta alla informazione per noi in situazione e se questo non avviene è perché subentra una deviazione tra l’informazione esatta che arriva e la successiva elaborazione per decisione operata dal cervello cerebrale, deviazione causata da stereotipi, abitudini, convinzioni non supportate da evidenza, cultura e molto altro.

La funzione della melolistica

In questa visione, la Scuola Ontopsicologica propone la melolistica, cioè una tecnica di intervento psico-corporea, basata sulla percezione del viscerotonico, quindi uno strumento applicativo finalizzato all’apprendimento della sanità originaria in ogni uomo, cioè una conoscenza, un andare a scuola dal proprio corpo, in modo graduale e cosciente ci si riappropria dell’informazione originaria autoctona e organica e si impara a vivere il proprio corpo nel piacere; si parte dal corpo, dall’organico per accedere allo psichico inteso come energia causante il fenomenologico sensorio, sempre reversibile e continua.

La melolistica si fulcra nel viscerotonico come criterio base e poi si amplia a tutto l’organico ed in questa processo coinvolge anche l’Io logico storico quindi implica anche il concetto di coscienza, la cui funzione è fondamentale ai fini di un processo esistenziale evolutivo. Nell’incontro di melolistica il soggetto riscopre il piacere del movimento all’interno della sua realtà corporea, questa esperienza vissuta nel piacere crea una novità sensoriale cioè ci si meraviglia di stare bene, di percepire il corpo leggero ed euforico, quindi l’Io è piacevolmente coinvolto (in neurofisiologia significa che, grazie alla plasticità neuronale, si sono create delle tracce mnestiche nuove, non stereotipate dalla memoria), cioè nell’incontro di melolistica avviene qualcosa di plastico, accade la proprietà insita nell’uomo di ottenere determinate forme sensibili di piacere, attraverso un’azione esterna cioè attraverso il movimento, dettato dalla variabile musicale, sempre conforme al criterio biologico cellulare, nell’occasione dell’incontro, quindi si metabolizza piacere psico organico. Grazie a questa esperienza di novità piacevole, l’Io è coinvolto in una nuova responsabilità verso sé stesso e, gradualmente, nel tempo potrà basare la propria coscienza sul proprio dato organismico, fulcrato nel viscerotonico per tutto ciò che riguarda l’esperienza operativa esistenziale, cioè le mille relazioni in cui siamo comunque coinvolti ogni giorno.

Questo significa che invece di usare il solo cervello cerebrale, l’individuo potrà usare entrambi i cervelli messi a disposizione dalla natura nello stesso organismo, in sostanza bisogna mandare la propria coscienza a scuola dal proprio criterio di natura, a ciò che ci fonda al di là di un inconscio comunque operativo, quindi una pedagogia per diventare persone “responsabili” della propria esistenza come previsto dal progetto di natura individuale. Solamente sulla base di sanità ed identità utilitaristico funzionale si può sviluppare, di conseguenza, la capacità creativa, cioè la capacità di saper trovare in ogni situazione, la soluzione ottimale di vantaggio per sé stessi e di conseguenza utilità per gli altri, al di là di ogni comportamento culturale stereotipato ed in tal senso non il libero arbitrio, per lo più conseguenza di stereotipi o super Io, ma la doppia morale è indispensabile all’azione etica cioè tenere conto della morale individuale e della morale sociale. Il fatto di essere costantemente all’interno di un olistico dinamico cioè di un continuum informatico, implica da parte del cervello viscerale, la mediazione costante di tutte le afferenze esterne, quindi è per noi umani un rilevatore esatto della realtà, questo processo viene definito criterio organismico, quindi, da queste premesse, possiamo dire che la prima responsabilità di ogni uomo, per sé stesso, è il recupero del criterio organismico, come funzione per qualsiasi processo evolutivo psico-biologico, l’uomo sano esercita psicologia funzionale in primis per sé stesso e poi per il contesto ove agisce; sanità e funzionalità sono correlate e reversibili. Precisiamo che per la nostra Scuola l’organismico è coscienza di percezione unitaria del corpo non solo fisica, e non deve essere associato all’organismico di Goldstein,per esempio.

Il recupero della consapevolezza del dato organismico, impone l’attenzione costante dell’Io verso qualunque tipo di comunicazione, verbale e non verbale, segnali corporei e sensazioni, cioè ampliare lo spettro di ascolto, ampliare il radar per poter accogliere e riconoscere tutti i segnali che possono riguardarci e questo è un tipo di conoscenza per il quale non siamo stati educati, anzi molto spesso il pensiero razionale trova non interessante per non dire stupido e insensato tenere conto delle percezioni corporee e relazionarle al nostro agire.

La semplicità efficace

L’aspetto che colpisce maggiormente come esperienza pratica nel fare melolistica, sono i benefici pratici e immediati di vitalità, arrivi stanco, appesantito, aggressivo o sottotono, con alcuni dolorini o piccoli malesseri, e se si riesce a staccarsi dal mondo esterno ed a centrarsi sul cervello viscerale, sincronizzando il ritmo del diaframma al ritmo delle percussioni, nell’arco di una ora circa ci si sente fluidi, leggeri, si percepisce interamente il corpo e si sente la mente libera e pronta, e ci si stupisce di aver ballato per una ora senza sentire la minima fatica, l’effetto è come di una ricarica a tutti i livelli.

Ovviamente questo non avviene per tecnica improvvisata, il tecnico deve essere preparato e deve saper gestire gli spazi per i partecipanti e suonare in pratica la musica che naturalmente scaturisce da ogni partecipante, aiutando quelli che faticano a sincronizzarsi. Così come gli eventi della natura, la melolistica non prevede un ritmo standard ma il ritmo cambia ogni volta in funzione dei partecipanti ed è proprio per questo motivo che ha un tale effetto positivo, difficile anche da descrivere ma che si prova senza nessuna fatica a patto di lasciarsi andare, avere lo spazio giusto adeguato per libertà di movimento,occhi chiusi, “tagliarsi la testa” e seguire il ritmo che il proprio corpo vuole danzare, che sarà sempre nuovo e sempre diverso in quanto noi non siamo mai due volte uguali.

In questo modo le percussioni sulla membrana dei tamburi arrivano direttamente all’organico della persona senza mediazioni del cervello cerebrale, quindi spontanee, naturali e non stereotipate e pertanto stimolano il movimento spontaneo perché il nostro corpo reagisce, è come se si mettessero in vibrazione le cellule secondo un modalità di vibrazione naturale ed il corpo risponde e si muove spesso in modo che se volessimo farlo non ne saremmo capaci, ed il risultato è una rivitalizzazione, si favorisce la libera circolazione tra i chakra e tutti i piccoli malesseri o fastidi spariscono vengono riassorbiti. Il tecnico ha la competenza e la preparazione specifica per essere in grado di interagire con tutti i partecipanti coordinando il ritmo in grado di fare interazione e quindi favorire il successo della sessione con conseguente benessere dei partecipanti, questa è una competenza che non si improvvisa, non è sufficiente percuotere un tamburo per fare melolistica, se non c’è una severa preparazione si rischia di suonare la propria schizofrenia e non la musica dei corpi dei partecipanti.

Chi non è in grado di entrare nel ritmo e di

coordinarsi, per esempio non riesce a smettere di pensare a problemi o a fermare la mente per ascoltare il proprio organico, o non viene fatto partecipare o lo si posiziona in un punto dal quale eventualmente si può facilmente allontanarlo per non creare ingorghi nella libera circolazione di energia che si crea nel gruppo, questo perché il tecnico preparato è in grado di rilevare le distonie.

Il bello è che ogni essere umano ha la stessa identità corporea, facciamo tutti parte della costante H, H come Humanitas, quindi una identica legge di natura organica valida per tutti, italiani, russi, cinesi, giapponesi, brasiliani, africani, e quindi qualsiasi organismo biologico sollecitato da una precisa ritmica musicale corrispondente alla vibrazione delle cellule sane, risponderà in modo analogo e l’effetto sarà unicamente determinato dal grado di relazione che si crea con il cervello viscerale e non dalla cultura di appartenenza.

La danza armonica del
corpo, rompere (gli schemi) per danzare

Dal ritmo iniziale basato sul cervello viscerotonico piano piano si coinvolgono in progressione tutte le varie parti organiche che corrispondono in linea generale ai vari chakra. I partecipanti sono coinvolti progressivamente e piacevolmente in un movimento sempre più totale, il corpo da pesante si fa armonico e leggero, in quanto si sono aperti i canali del flusso energetico, ogni partecipante riscopre la personale energia e come questa vuole farsi danza armonica per sé stessi, ricordiamo che la melolistica si fa ad occhi chiusi quindi ciascuno danza per sé la propria danza solo così è rivitalizzante e facilita la presa di coscienza e consapevolezza del proprio organistico, cioè contatto con cervello viscerale. Al movimento si associa sempre un tratto emotivo, che di fatto lo fonda, quindi spesso gli stessi partecipanti si stupiscono di quanta energia era in loro, lo stupore si fa piacere quindi è coinvolto anche l’aspetto razionale.

Il ritmo di ognuno provoca una dinamica che coinvolge tutti, quindi anche i più pigri sono stimolati. Quando tutti gli strumenti, i partecipanti, sono “accordati”, ognuno per se stesso, il gruppo come una orchestra produce la propria sinfonia che il conduttore coordina, senza mai perdere di vista lo scopo che è la potenzialità del benessere in dote di natura in ogni corpo umano. Questa aspetto della melolistica è altamente socializzante quindi pedagogicamente educativo. Anche se ognuno danza per se stesso, il processo avviene all’interno di un gruppo composto da più persone, diverse tra loro ma con le stesse finalità. Tutto questo si evidenzia alla fine dell’incontro, quando l’allegria che è in tutti provoca un senso di compartecipazione.

Con la progressiva presa di coscienza del proprio senso valore, si qualifica anche la propria esistenza, cioè il senso di responsabilità etico e creativo di noi stessi, in quanto persone. L’inevitabile conseguenza del ripristino del potenziale benessere sveglia la funzionalità utilitaristica e creativa, cioè la capacità di saper trovare in ogni situazione la soluzione ottimale, che è una soltanto, e anche come relazionarsi in modo ottimale con gli altri e l’ambiente al di là di cliché e comportamenti stereotipati.

Ogni cosa o vivente è una informazione, conoscerla in anticipo permette una gestione ottimizzata del nostro procedere esistenziale; questo implica non solo me e l’altro, ma soprattutto me e me, cioè una coscienza che rifletta il dato reale e non il dato manipolato, educazione, stereotipi, società etc, poi deve essere applicata la doppia morale, ciò che è giusto per me e ciò che è giusto per il sociale in mediazione ottimale continua ma con piena consapevolezza, dare a Cesare quello che è di Cesare ed a Dio quello che è di Dio. Compito dell’Io è la gestione ottimizzata di questo insieme ilemorfico, dal greco insieme di materia ile e forma morfe, di questo progetto incarnato che è l’unità di azione uomo all’interno dell’ecosistema olistico dinamico dove questo composto è situato, noi nella società, e se a tutto questo aggiungiamo anche e soprattutto la realtà dell’inconscio, che difatto è inconscio semplimente perché non conosiuto ma parte integrante di noi anzi è la parte di energia migliore, ecco che diventa indispensabile che almeno tra me e me, non ci siano…. “altri”.

Mai andare contro il proprio progetto di natura

Nuovi codici di interpretazione

a cura di Dott. Maurizio
Borri

Agli inizi del secolo scorso la teoria della fisica quantistica unificò il dualismo materia ed energia ampliando il paradigma conoscitivo dell’Ottocento. Queste ricerche implicano anche il concetto di informazione. L’universo è sia energia che materia, ma sembra che l’informazione abbia un ruolo importante. L’informazione è intenzionalità, quindi una vettorialità che subconduce sia l’energia che la materia. Per comprendere la logica della fisica quantistica occorre una mentalità elastica che possa prevedere scenari anche diversi da come in genere siamo abituati a comprendere la realtà delle cose per come le viviamo tutti i giorni. La logica dell’infinitamente piccolo prevede nuovi codici di interpretazione riguardo le cause dei fenomeni.

La dualità onda corpuscolo apre scenari apparentemente nuovi, ma comunque correlabili al tempo storico attuale. E’ significativo come qualsiasi scoperta scientifica e di riflesso tecnologica accada sempre in anticipo a eventi epocali. Il veloce progresso tecnologico ci ha fornito di strumentazioni oggettive per la connessione di massa degli individui, permettendo ad ognuno di noi una comunicazione veloce attraverso una interfaccia elettronica. Questo periodo storico pieno di eventi epocali ha messo in evidenza che anche se siamo tutti un pò più tecnologici questo non significa aver raggiunto una coerente stabilità emozionale con se stessi. Sono violentemente emersi i fattori disgreganti l’integrità psicologica di ognuno di noi, il che per certi versi può essere un vantaggio per affrontare le fragilità emotive. Il lato positivo di qualsiasi crisi è che tutto serve per crescere. L’epigenetica è lo studio di come il cambiamento dell’ambiente vada oltre i limiti dell’informazione genetica modulandone così l’espressione. Qualsiasi mutazione dell’espressione della forma provoca un cambiamento cosciente o inconscio ma la gestione dell’informazione non è sempre alla portata di tutti, in quanto la grande capacità adattiva dell’uomo si sostituisce all’ignoranza di se stesso in quanto possibile strumento esatto di misura.

L’odierna concezione di un sistema economico o tecnologico – basato sulla produzione e la fornitura di servizi – ci ha distolto dalla responsabilità di verifica del flusso di informazioni. Per migliaia di anni si è pensato che il valore di un bene fosse una sua proprietà oggettiva, una sua qualità, quindi la sua funzione (del bene) è strettamente collegata alla valutazione eminentemente soggettiva, generata dall’interazione collettiva di quanti ne riconoscono l’utilità. Il prezzo di un oggetto è un esempio che ne evidenzia le propietà apparentemente oggettive ma che, di fatto, esiste solo all’interno di un dato sistema economico. In linea di massima si può dire che “qualsiasi” servizio o funzione – quindi qualsiasi elemento della produzione totale del sistema economico o tecnologico – può essere considerata come una informazione. Ognuna di queste informazioni può essere creata e veicolata con scopi funzionali, ma può anche essere manipolata come chiave di accesso a quello che comunemente noi chiamiamo cervello-mente inteso come “programma” operativo funzionale per l’intero psicorganico di qualsiasi essere umano. Il vincolo tra il sistema economico-tecnologico, la conoscenza e civiltà ed il cervello-mente è regolato dalla quantità di informazione che può essere letta, memorizzata ed elaborata. L’uso non ottimizzato dell’individuale capacità intellettiva – cioè l’intelligenza di cui ognuno di noi è provvisto – favorisce l’informazione del sistema più organizzato, che diventa predominante non tanto per propria capacità ma per il darsi di uno stato di ignoranza verso se stessi. Così mentre il cervello accumula e ricicla informazioni, il nostro corpo subisce l’influenza delle memorie acquisite. Memorie attivate dal flusso di informazioni quotidiane che genera modalità comportamentali. Dalla mattina alla sera ognuno di noi legge, elabora e trasferisce informazioni generiche e specifiche. Queste memorie attivano riflessi condizionati ad effetti comportamentali. I. Pavlov (1849 – 1936) medico e fisiologo russo, nei suoi studi sul riflesso condizionato negli animali scoprì che esisteva

una intenzionalità di natura (inconscia) che garantiva la sopravvivenza corporea e una intenzionalità indotta dall’ambiente che poteva provocare effetti condizionati conseguenti alla necessità di adattamento. Soprattutto rese evidente che l’associazione psicologica si manifesta nella reazione somatica attraverso il cervello in quanto funzione passiva e attiva di tutto ciò che esiste. Nell’uomo le associazioni psicologiche implicano i primi anni di vita.

L’uomo è una unità
di azione

Occorre valutare, sia noi stessi che ogni essere umano, come una “unità di azione” costituita sia di materia che di forma, cioè considerare l’uomo un ente energetico che emana e riceve informazioni all’interno di un universo olistico dinamico informazionale. L’uomo inteso come unità di azione è costituito da un progetto di natura, una informazione che si esprime sia come psiche che come corpo. L’informazione è adattabile all’ambiente pur mantenendo integra l’essenza, quindi è sia virtuale che potenziale. La responsabilità gestionale del quantico energetico che l’uomo è nella sua interezza, appartiene all’Io logico storico, cioè a ognuno di noi quando pensa, riflette, organizza, decide e compie l’azione.

E’ l’Io logico che ha il compito di leggere ed elaborare le informazioni provenienti dall’ambiente e mediare questi dati a proprio uso e consumo. Le scelte dell’Io si realizzano attraverso le azioni le quali producono degli effetti che fanno crescita o regressione, sanità o malattia. Potrebbe sembrare un approccio meccanicistico se non fosse per il valore aggiunto che implica il concetto di attività psichica. L’attività psichica è il primo e fondamentale muoversi dell’uomo dove il corpo è parola e lo psichico è senso. E’ una energia-forma che presenzia e specifica l’azione, ed in tal senso è l’azione base del primo e fondamentale muoversi dell’uomo che in seguito si effettua come pensiero, emozione, volontà, conoscenza etc. Come tutte le energie la si può verificare sempre e solo negli effetti, quindi va compresa con il massimo di elasticità mentale.

Un possibile modo di comprensione oggi è fornito dalla fisica quantistica attraverso le ricerche sulle particelle elementari, sulla dualità onda corpuscolo e sul concetto quantistico di stati di sovrapposizione. La presenza di evidenza di questi effetti presuppongono una causa dinamica cioè una energia base. Quindi la “realtà” psichica va intesa con la stessa concretezza con cui un fisico concepisce la materia. Per capire se stessi, ci vuole umiltà e pazienza, in quanto occorre accettare di indagare come possibilità “causale” tutto quanto si rivela come effettualità “casuale”. La psiche rappresenta l’informazione in perenne movimento. Nell’uomo, quando non evoluta, provoca sempre disordine attraverso il corpo in quanto il corpo è la prima fenomenologia dell’uomo. Ogni specie vivente per autoconservarsi deve mantenere il quantico energetico in dote ed evolverlo attraverso l’ambiente. Questo aspetto di ricetrasmittenza con l’informazione ambientale rende l’uomo comune a tutte le specie viventi.

La sovrapposizione delle varie informazioni

L’uomo a differenza delle altre specie viventi, da quando nasce in poi, subisce continui stadi di programmazione informatica che si vanno a sovrapporre al proprio progetto di natura. Questa programmazione è caratteristica dell’ambiente in cui il bambino nasce e si sviluppa e si sovrappone all’informazione originaria di natura agendo da filtro.

In seguito quando il bambino, diventato grande, dovrà fare delle scelte in qualsiasi dimensione e grado, sarà sempre anticipato dalle varie sovrapposizioni di stadi informatici. Con il passare del tempo questa sovrapposizione di informazioni diverrà autonoma quindi non si ritroverà più l’informazione originale. In finale abbiamo che mentre il corpo biologico rimane sempre connesso alle leggi di naura, il nostro Io logico rimane coinvolto da tutte le programmazioni acquisite nel tempo. Quindi in ognuno di noi si viene a formare uno stato psicologico dove troviamo un Io logico storico, cioè il nostro personale e individualissimo modo di pensare e valutare la realtà del mondo, scisso dalla realtà corporea, in quanto il corpo è sempre connesso alle leggi naturali della natura.

Questa situazione accade perché ognuno di noi è basato più sugli stereotipi socioculturali che non sul proprio criterio di natura. Posto dalla natura con un progetto originale, unico ed esclusivo, il nostro bambino – ormai adulto – si troverà in difficoltà a capire perché le cose non funzionino come lui vorrebbe. Questo stato di dubbio, provoca delle tensioni che alterano qualsiasi processo decisionale, quindi viene alterata anche la coscienza di se stessi. Conseguente a questa alterazione di coscienza interviene il sintomo organico in quanto sempre alternativo alla volontà dell’individuo. Compito dell’Io logico storico – cioè di ognuno di noi – è rapportasi costantemente all’informazione intrinseca al proprio progetto di natura al fine di poterla realizzare esistenzialmente. La razionale conduzione a questa logica è manifestata dagli effetti o risultati esistenziali, visibili a tutti. La salute è il primo risultato concreto di questa logica razionale.

La funzione crea l’organo

Quando l’io logico storico non riesce a coordinare l’azione in prassi storica secondo il dato di natura, accade una discrepanza, una divergenza tra l’informazione base ed l’esecuzione attraverso l’azione storica. L’effetto di questa divergenza provoca il sintomo. Questo processo implica necessariamente il corpo inteso come strumento esatto – in quanto sempre coordinato e sinergico al criterio di natura – che ne permette l’azione. Se la funzione crea l’organo il corpo, come funzione, è la prima fenomenologia dell’intenzionalità di natura. Quindi attraverso il corpo si rende possibile tutto il molteplice effetto della informazione psichica, che diventa psicologia esistenziale attraverso l’azione storica. Ad esempio gli istinti vanno considerati come ordini vitali, quindi qualsiasi pulsione istintuale necessita di comprensione ed educazione. Occorre capire che gli istinti sono funzioni ordinate, mai caotiche, quindi censurare o rimuovere un aspetto pulsionale, senza una adeguata e cosciente razionalità, provoca una reazione inevitabile all’interno dell’equilibrio organico.

Inibire la possibilità di risposta istintuale ad uno stimolo, senza possibilità di razionale e cosciente spostamento sublimato, è come deviare il corso di un fiume senza sapere dove andrà a finire tutta l’acqua deviata, cioè senza sapere gli effetti che tale azione provoca. La sovrapposizione delle varie informazioni ambientali non altera la sequenza dell’informazione genetica dell’uomo che è unica, ma agisce nella differenziazione cellulare modificando l’espressione della forma, la quale determina le varie psicosomatiche. Ciò significa che il modo o stile di vivere di ognuno di noi si fa fenomeno concreto attraverso tutto ciò che è corpo, dalla cellula ai quattro sistemi fondamentali:

Nervoso Centrale, Endocrino, Immunitario e Neurovegetativo. Non avere percezione cosciente dello stato fisiologico del proprio corpo, significa vivere da estranei a casa propria, in quanto tutte le emozioni e sentimenti nascono sempre dal rapporto diretto dell’interazione del proprio corpo nell’ambiente circostante. La maggior parte di noi percepisce solo una parte del proprio corpo, generalmente circoscritta al solo fattore estetico. L’uomo difficilmente si ama per come è. Siamo stati abituati a ragionare con la testa, quindi ad evadere da quasiasi percezione corporea, sia interna che esterna. Viviamo il nostro corpo sempre da fuori, addirittura ci pensiamo dalla fronte in sù, mai dalla fronte in giù. Usiamo sempre e solo il cervello, che crediamo sia la mente di tutto, anche della nostra coscienza. Per la maggioranza delle persone è il cervello (SNC) l’organo che ha prevalenza di organizzazione sul corpo. Chi pensa al proprio intestino? Nemmeno quando si beve o si mangia. Ce ne accorgiamo solo quando si inceppa. Eppure è grazie alle nostre viscere che possiamo avere la misura della salute e del piacere, in quanto sono loro a regolare tutti processi sia di regolazione interna che di impatto ambientale.

La sensibilità viscerale è il nostro primo cervello, è il motore del nostro organismo, al pari del cuore o del cervello. Se la natura ci ha fornito di due cervelli, significa che li dobbiamo usare entrambi per il corretto funzionamento di tutto il corpo. Per una integrità di salute sia mentale che corporea occorre rivalutare la percezione viscerale al pari di quella cerebrale. Saper usare tutto il corpo è garanzia di conoscenza. Un inquinamento della percezione significa conoscere in modo alterato l’ambiente circostante, quindi viene alterato anche il rapporto metabolico. Il disavanzo tra quantico energetico investito e la resa diventa sproporzionato, e questo disavanzo provoca stress e frustrazione. Ogni boccone amaro ingerito viene digerito dal corpo, attraverso le viscere. Da qui al sintomo il passo è breve. La malattia quindi è un effetto dello stile di vita dell’individuo. Questo stile di vita risulta non funzionale per l’organismo integrale di base, risulta essere l’evidenza di un errore contro il proprio progetto di natura, quindi un errore di carattere psicologico, in quanto compiuto dell’Io logico storico, cioè da come ognuno di noi pensa ed elabora le varie informazioni.

La natura insegna

La somatizzazione accade perché l’Io del soggetto non ha saputo interpretare, per negligenza o ignoranza, la pulsione metabolica intesa come informazione ambientale inerente il momento storico. Tutto il vissuto di ognuno di noi è sempre prevalso da una informazione cardine risultante dall’ambiente storico ove siamo cresciuti, il che significa che tutte le malattie nascono secondo l’informazione appresa nei primi anni di vita, in quanto nel bambino piccolo qualsiasi conoscenza è sempre corporea e solo in seguito diventa associazione psicologica e quindi comportamento. Siamo più il prodotto di altri che ci hanno educato quasi sempre da “un fuori di noi” che di noi stessi. Nessuno ci ha mai educato a percepirci dal di dentro, a seguire le pulsioni del nostro unico ed individuale criterio di natura. Se si vuole ripristinare la sanità, occorre fornire all’individuo gli strumenti adatti per rilevare l’errore psicologico, sempre e solo seguendo le indicazioni date dal suo stesso progetto di vita. Rilevato l’errore attraverso l’evidenza della propria esperienza, se il soggetto vuole, “può” modificare il proprio stile di vita per renderlo conforme al proprio progetto, altrimenti avviene un rinforzo della malattia.

Questo errore si psicosomatizza in un organo, generalmente il più sensibile, viene alterata la parte a tutela dell’intero. La malattia come effetto psicosomatico, implica sempre un errore gestionale del quantico energetico del soggetto, cioè non viene usata una psicologia funzionale. Vi sono strette analogie tra i processi della fisica quantistica e l’attività mentale di ognuno di noi, il che porta a considerare che i processi fisici – che ognuno di noi sperimenta su se stesso come effetti – in origine sono il prodotto di una specifica attività mentale correlabile ai processi quantistici. L’informazione base del progetto è strettamente individuale e implica sia l’intelligenza, intesa come funzione di lettura dell’ambiente circostante, che la volontà, intesa come determinismo per realizzare questa informazione. Entrambe sono sempre connesse all’originale criterio di natura, quindi hanno sempre possibilità espansiva. Poi abbiamo il corpo che, in quanto organismo, ha la capacità adattiva di trasformarsi in funzione dell’ambiente.

Infine abbiamo l’Io logico che decide la strategia da adottare, quindi un pilota, la cui funzione è mantenere ed evolvere questo progetto, nell’arco dell’esistenza, in quanto sia l’intelligenza che la volontà ed il corpo sono funzioni potenziali. Date queste coordinate ecco che appare semplice capire come la malattia divenga un effetto – tra i tanti possibili – non appena accade che il pilota o Io logico storico venga meno alla sua funzione di mediazione tra l’esigenza pulsionale interna e la possibilità di metabolizzare l’ambiente. Conoscere il proprio criterio di natura permette di poter realizzare se stessi attraverso un processo razionale oggettivo e mai fideistico. Come per la comprensione dei processi della fisica quantistica implica elasticità mentale, buona volontà e una conoscenza appropriata in quanto ogni novità di sapere richiede nuovi codici di interpretazione. In fondo ciò che rende difficile la comprensione di queste cause è l’originalità che non si lascia subito afferrare ma che è sempre evidente negli effetti.

Strumenti, sistemi e idee a confronto

Come affrontare il cambiamento

a cura di Dott. Maurizio
Borri

La globalità dello spazio delle informazioni che circolano in maniera spasmodica e incontrollata hanno cambiato le nostre menti. La Fondazione Homo Novus, in considerazione della attualità del tema, ha organizzato un evento il giorno 13 marzo 2021 che ha visto intervento da parte di:

Ing. G.F. Grassi, Presidente Fondazione Homo Novus, Ingegnere e Psicologo aziendale.

Prof. G. Tarro, Primario emerito di virologia presso l’Ospedale Cotugno di Napoli, virologo internazionale.

Dott. M. Borri; Fondazione Homo Novus, Psicologo e Ricercatore.

Avv. P. Guidone, Esperto in geopolitica e diplomazia culturale, docente presso Link Campus University, di Roma e Napoli.

Dott. G. Diotallevi, CEO di Alfassa. A seguire una sintesi; le relazioni integrali ed i riferimenti per rivedere l’evento sul canale You Tube, sono reperibili al sito www. fondazionehomonovus.net

G.F. Grassi:

Precisazioni in merito a definizioni

correlate al tema dell’evento.

Infodemia (enciclopedia Treccani, neologismo) – (etimologicamente, epidemia di informazione).

Termine coniato nel febbraio 2020 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per denotare la proliferazione incontrollata di notizie scarsamente affidabili in merito all’emergenza generata dalla diffusione dalla Cina del Coronavirus SARS COV-2, definita dall’organizzazione stessa “una sovrabbondanza di informazioni – alcune accurate, altre no – che rende difficile alle persone trovare fonti affidabili e una guida sicura quando ne hanno bisogno”.

L’OMS ha ribadito la necessità di gestire la comunicazione in merito alle emergenze sanitarie con modalità professionali, tempestive, coordinate e solidali, al fine di individuare e contenere la propagazione di false notizie, fake news, che ostacolano il reperimento delle informazioni prodotte dalla comunità scientifica e sanitaria globale, suggerendo misure di prevenzione e cura inaffidabili.

La paura viaggia più veloce della “malattia”, ma vale anche il purché se ne parli, una buona notizia non fa notizia, evidentemente fa business per qualcuno. Infosfera (Treccani) L’insieme dei mezzi di comunicazione e delle

informazioni che da tali mezzi vengono prodotte. Il termine, un neologismo che è una parola composta da “informazione” e “sfera”, sulla falsariga di “biosfera” viene definito come “lo spazio semantico (lessicale n.d.r.) costituito dalla totalità dei documenti, degli agenti e delle loro operazioni”, dove per “documenti” si intende qualsiasi tipo di dato, informazione e conoscenza, codificata e attuata in qualsiasi formato semiotico, gli “agenti” sono qualsiasi sistema in grado di interagire con un documento indipendente (ad esempio una persona, un’organizzazione o un robot software sul web) e il termine “operazioni” include qualsiasi tipo di azione, interazione e trasformazione che può essere eseguita da un agente e che può essere presentata in un documento. (Fonte: Wikipedia)

Epidemia Malattia contagiosa, causata da un microorganismo, che colpisce rapidamente tanti individui di una zona geografica più o meno vasta. Pandemia Dal greco ‘pandēmía’ ‘tutto il popolo’, comp. di pân ‘tutto’ e dêmos ‘popolo’, Epidemia con tendenza a diffondersi rapidamente attraverso vastissimi territori o continenti. Resilienza Resilienza deriva dal latino, re-silire, ed indica la resistenza ad un urto o situazione, un essere di gomma, cioè la capacità di riprendersi dopo una forte avversità. In psicologia, la resilienza è un concetto che indica la capacità di fare fronte in maniera positiva ad eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità. La resilienza è la capacità di un sistema di adattarsi al cambiamento, in particolare in ecologia e biologia è la capacità delspagnola (1918), causata da virus H1N1, HIV/AIDS da 1981 in corso, influenza suina (2009 circa), causata da virus H1N1 e la prima epidemia del XX secolo, COVID-19, (2019 in corso), responsabile un virus chiamato SARS-CoV-2

Ancora una volta il vero problema non è il problema in sé ma come lo si affronta e soprattutto la capacità di risolverlo in evoluzione. Esiste la necessità di promuovere una formazione dedicata per aumentare la sensibilità in primis di coloro che si trovano ad operare scelte, la classe dirigente a tutti i livelli, una formazione che la Fondazione Homo Novus ha ben evidente e che è in grado di proporre anche con nuove figure professionali quali ad esempio l’Interdisciplinary Manager, una figura trasversale interdisciplinare appunto, in grado quindi di operare in qualsiasi contesto.

G. Tarro:

“Emergenza COVID e varianti”

È davvero una follia proseguire con la caccia al contagiato da “isolare”, anche perché, il Sars-Cov-2 (e le sue innumerevoli “varianti”) essendo estremamente contagioso e non producendo una immunità stabile, al pari di quello della varicella, la materia vivente di autoripararsi dopo un danno. (Fonte: Wikipedia)

Pandemie: cause e diffusione In tutte le epoche ogni pandemia ha cambiato il corso della storia: accompagnando o provocando guerre, migrazioni, crolli di imperi e di sistemi economici, spesso causando persecuzioni ideologiche. Nella storia sono molti gli esempi di pandemia, la peste di Atene, 430 a.C circa, che causo la morte di Pericle leader dell’emegonia ateniese, la peste antonina, 165 d.C. circa, forse vaiolo o morbillo, una delle cause che determinò l’inizio della fine politica e militare dell’impero Romano, la peste di Cipriano 251 d.C. circa, uccise due imperatori e ne vennero accusati i cristiani quali untori, la peste di Giustiniano, 541 d.C, circa e poi a ondate fino a 750 d.C., causata da batterio Yersinia pestis provocò conseguenze economiche catastrofiche contribuendo a determinare inizio di declino dell’Impero d’Oriente, peste nera, 1346 d.C., causata da batterio che determino la riduzione della popolazione europea da 80 a 30 milioni di persone, ciò determinò alcune importanti trasformazioni del mondo agricolo e l’introduzione di nuovi strumenti tecnico-meccanici, ed in tempi più recenti influenza

si avvia a diventare (o è già diventato) endemico nella popolazione. E, di certo, non lo si schioda da questa con mascherine, lockdown, scuole chiuse, e distanziamento sociale.

Come attestato dai pochi dati resi pubblici dalle case farmaceutiche che li producono, gli attuali vaccini non garantiscono una immunità perenne né, tantomeno, una “immunità sterile” al vaccinato che continua, quindi, a trasmettere il virus. Promettono soltanto di ridurre i sintomi dell’infezione; sintomi che nel 90-95% degli “infettati” addirittura non si manifestano. Sarebbe stato logico, quindi, che ad essere vaccinati fossero solo gli anziani nei quali l’insorgere del Covid rappresenta un reale pericolo. Si è scelto, invece, una vaccinazione di massa che – oltre a moltiplicare i rischi, inevitabilmente connessi ai vaccini – non garantirà una pur provvisoria immunità di gregge; neanche se, centuplicando gli sforzi, si riuscisse a vaccinare tutti gli italiani in una settimana, e non in un anno e mezzo, come oggi si prevede. Quindi bisogna cambiare completamente la fallimentare gestione dell’emergenza- Covid che si protrae, ormai, da un anno. Serve quella che potrebbe essere una nuova, efficace, strategia sanitaria. Ad esempio l’eliminazione di tutte le assurde “norme profilattiche” sinora imposte. Misure profilattiche che, invece, i milioni di ipocondriaci che i lockdown sono riusciti a creare considerano ormai “normali”. Come le onnipresenti “mascherine” che, in molte nazioni, come la Russia ad esempio, non si usano più da mesi.

In Italia, invece, non solo si addita come “untore” chi non si copre anche il naso con la mascherina, ma si continua ad inneggiare a governanti che oggi annunciano nuovi ferrei lockdown per “salvare le vacanze di Pasqua”, dimenticandosi cosa sono state le vacanze natalizie. Basta, poi, con il terrorismo mediatico e l’estromissione di opinioni critiche. E basta anche con la censura: tutta la documentazione relativa all’emergenza (ad esempio: le cartelle cliniche dei “morti per Covid”, gli studi scientifici che supportano la gestione dell’emergenza, i motivi dell’esclusione/ inserimento di farmaci o terapie, o i contratti con aziende farmaceutiche) deve essere messa subito a disposizione del Parlamento, dei ricercatori e del pubblico.

Non mi illudo comunque che, senza un grande movimento di opinione, queste misure possano essere adottate a breve. Anche perché oggi la gente si è ridotta a credere che se non funzionano i lockdown la colpa è di qualche sciagurato che si abbandona alla movida e accetta quanto dichiarato da Antony Fauci, e cioè che, pur con le vaccinazioni, dovremo indossare la mascherina all’aperto almeno fino al 2023. Nell’agosto del 2020 un’altra variante è iniziata a propagarsi nel Regno Unito; spesso chiamata “variante inglese”, ma etichettata come B.1.1.7. Questa variante viene ora isolata in molte nazioni inclusi gli Stati Uniti, la sequenza della variazione della proteina S viene chiamata N501Y e sembra aumentare la trasmissibilità della COVID-19. Recenti studi hanno dimostrato che i vaccinati con RNA messaggero della Pfizer BioNtech e Moderna sono protetti da anticorpi neutralizzanti la nuova variante. Tuttavia altri studi di laboratorio alla Rockfeller University hanno dimostrato la riduzione dell’efficienza dei vaccini ad RNA messaggero sugli anticorpi che neutralizzano il virus. In conclusione queste osservazioni permettono di sapere che esiste la possibilità di una diminuita efficacia degli anticorpi specifici per il virus, e suggeriscono di poter effettuare una modulazione dei vaccini capaci di fare fronte alle nuove varianti virali con l’elicitazione di nuovi anticorpi neutralizzanti. Purtroppo, vi è una nuova variante identificata in Sud Africa, N501Y.V2 (oppure B.1.351). A livello genetico la variante africana ha maggiori cambiamenti di sequenze sia della D614G che di quella inglese. Questa “variante africana” desta maggiore preoccupazione perché le nuove sequenze genetiche sono più vicine al grimaldello virale che si lega al recettore ACE2 delle cellule umane per penetrarle e quindi infettarle. Dal momento che la variazione di sequenza del virus risulta vicino alla “chiave” di entrata cellulare

l’anticorpo specifico potrebbe mancare di neutralizzare la componente virale che permette la penetrazione cellulare. Infine, un’altra variante con le stesse proprietà di quella Sud Africana è stata identificata in Brasile, di cui adesso cominciamo a conoscere la diffusione.

M. Borri:

“L’uomo deve essere educato e non

sostituito”

La considerazione da cui parto è che da molto tempo siamo tutti all’interno di un gioco senza essere in grado di capirlo. L’evidenza è che tutto è costantemente manipolato dall’informazione delle grandi lobbies, forme di associazionismo di natura politica, socio-culturale, fideistica ed economica. Sostituire l’economia ai valori fondanti l’uomo, ci ha portati ad aver perso la dimensione dell’umanesimo, cioè la dimensione dei valori tipici dell’uomo:

intelligenza, volontà, intuito, trascendenza, poesia, etica ed esteticollegata alla logica dei processi psicologici della sua identità di natura. Esistono quattro fasi per apprendere la propria identità di persona:

1) Incompetenza inconscia ; ogni essere umano possiede ambizioni – consce o inconsce – ma non possiede la conoscenza, la chiave di accesso di come realizzare questo suo scopo o progetto. Come esempio pensiamo ad un bambino piccolo che vuole assolutamente andare in bicicletta senza aver mai imparato come si fa.

2) Incompetenza conscia ; attraverso l’esperienza diretta abbiamo la consapevolezza delle proprie capacità, cioè l’esperienza ci dà la misura sia delle proprie capacità che dei propri limiti. Quando il bambino cade dalla bicicletta capisce il suo limite.

3) Competenza conscia ; è la fase più significativa perché permette la conoscenza tra la volonta’, cioè la tensione verso tutti i desideri e le ambizioni, e come realizzarli. Il bambino che era caduto adesso si esercita con impegno e responsabilità ed acquisisce il suo modo specifico di trarre piacere attraverso lo strumento della bicicletta.

4) Competenza creativa ; la conoscenza della propria identità di natura, permette l’azione creativa. L’identità è la logica di natura di come fare bene il proprio progetto, quindi diventa morale di comportamento, cioè qualità aggiunta. In natura ogni specie vivente afferma se stessa attraverso la propria identità, mentre l’uomo – anche se dotato di libero arbitrio – è l’unica specie che dimostra contraddizione verso la propria identità di natura e questo provoca disagio mentale e malattia. Esiste una psicologia che può essere d’aiuto a tanti operatori o ca come creatività. Per contro questa situazione ha reso possibile un effetto psicologico di massa basato sulla paura, sul dubbio e sul senso di colpa. Quindi non c’è da meravigliarsi

se trattiamo il presente con una mentalità del ‘900. Assolutamente obsoleta ed in ritardo su tutto. La soluzione implica sia la consapevolezza che la responsabilità di se stessi. È possibile guarire psicologicamente l’uomo ma occorre avere il coraggio di aggiornare le proprie capacità al momento storico attuale e l’unico criterio che abbiamo per la conoscenza di questo processo è ritrovare la propria identità di persona.

In questa ottica la funzione della psicologia – in quanto scienza interdisciplinare – implica il concetto di responsabilità, soprattutto per quelle figure professionali che operano nel sociale a funzione dell’umanità (scienziato, ricercatore, politico, economista, medico, educatore, operatore sociale etc.). La crisi dell’umano – così come la sua realizzazione – è strettamente, leader sociali in quanto possiede sia il criterio che gli strumenti per rendere consapevoli se stessi.

P. Guidone:

Riflessioni sul rapporto “uomo –

macchina”.

Lontano da me, l’intenzione di entrare in merito a questioni strettamente mediche e politiche legate all’emergenza che viviamo. Il desiderio è raccontare un tema dalle ricadute anche filosoficopolitiche.

Nulla a che fare con la retorica da salotto ma, anzi, con il desiderio di essere parte di una comunità che ha bisogno di idee. Siamo attori protagonisti, tutti, del Mistero della vita: è partendo da un modo corretto di relazionarci con questa dimensione trascendente e comunitaria che possiamo agire in modo fruttuoso. Nel magma del Caos di una Ragione profondamente irrazionale, ospiti di un’Era di intensa crisi ma di grandi opportunità, l’Homo Googlis crea Infosfera e Infodemia: essi sono due temi interessanti. Il primo, Infosfera, è l’insieme dei mezzi di comunicazione e delle informazioni che da tali mezzi vengono prodotte. Il secondo, Infodemia da infodemic, a sua volta composto dai sostantivi info(rmation) (‘informazione’) ed (epi)demic (‘epidemia’). Sorge però un interrogativo, Protagonisti o Spettatori, inermi, di una guerra invisibile? L’Uomo, potente e impunito che soggioga per diritto divino la Natura, arrogante ha lasciato il posto alla consapevolezza, amara, che dopo tutto è nulla può davanti all’Universo! Il Coronavirus (responsabile della patologia nota come CoVid-19), un virus che appartiene a quel ceppo che causa malattie respiratorie di varie entità! Da un banalissimo raffreddore alla ben più grave SARS o sindrome respiratoria grave passando per la MERS, sindrome respiratoria mediorientale! Nuove malattie, salti di specie, ingegneria genetica:

nuove frontiere a guerre mondiali! Il dato certo è la Fenomenologia che tali virus scatenano nella società civile che di punto in bianco si trova a convivere con la psicosi dell’untore! La disumanizzazione della Tecnologia e la sua deriva annientatrice:

da sempre una delle paure profonde è quella che le macchine possano sostituirsi all’uomo. Le antologie sono piene di questa casistica. Il leitmotiv rimane lo stesso e accomuna tutti gli uomini: più la macchina prende vita, assume una identità propria, quasi divina, dunque più elevata di quella terrena propria degli uomini, più questi perderanno ogni connotazione che li contraddistingue. Fino ad essere ridotti in completa schiavitù. La schiavitù, però si sa, è una condizione che un popolo non può sopportare troppo a lungo ed induce, presto o tardi, al rifiuto viscerale di chi la subisce, il conflitto uomo – macchina giunto al suo apice, troverà composizione solo con un ritorno ad una vita secondo Natura dove prende corpo il desiderio di ricostruire un futuro basato su fondamenta di Amore ed Equilibrio. L’individuo moderno appare sempre più svuotato del suo io , disorientato, addirittura stressato da ritmi, dimensioni, bisogni indotti da una ragione Superiore che non ammette deroghe. Da qui, evidente, la necessità di un ritorno alla umanizzazione del reale e della vita stessa. Si necessita, dunque, una introduzione in tutte le fucine del Sapere e negli hub della cultura, di un approccio umanistico al progresso. Siamo degli Innovatori che partono dal solco della Tradizione, non esiste Progresso senza Radici. Oggi, sentiamo sempre di più la necessità di rapporti reali non virtuali. Due polmoni che respirano la stessa aria in una stanza, come felicemente affermava il filosofo Emanuele Franz, “sono un sistema di forze antagoniste alla divisione e alla paura poiché generano un’entità vivente terza che è più forte dei due che l’hanno respirata.

Natura e società

L’esistenzialismo nella visione umanistica della
Fondazione Homo Novus

a cura di Dott. Maurizio
Borri

La Fondazione “Homo Novus”, come si intuisce dalla denominazione, è una Fondazione umanistica scientifico culturale e si riferisce alla necessità di un uomo nuovo, un uomo che per poter sostenere le nuove sfide tecnologiche, ambientali ed energetiche, nonché sanitarie, deve essere “Novus”, cioè nuovo, rinnovato ma profondamente connesso nell’intimità ed identità delle leggi eterne della Natura, quindi una Fondazione dedicata al recupero del “quantico” potenziale dell’uomo stesso e dell’umano in tutte le sue forme ed espressioni con marcata connotazione umanistica.

a cura di Gian
Franco
Grassi

La Fondazione è di recente costituzione, atto formale a fine 2019, e risponde ai principi e allo schema giuridico della Fondazione di partecipazione nell’ambito del più vasto genere di fondazioni disciplinato dal Codice civile e leggi collegate.

La Fondazione, per il raggiungimento delle sue finalità, opera in tutto il territorio nazionale e internazionale, ed è costituita senza limitazioni di durata. La Fondazione Homo Novus ha sede a “Lizori”, antico borgo medioevale umbro che rappresenta un esempio di borgo concepito a misura d’uomo. Quale uomo? L’’homo faber”, l’uomo sano, l’uomo capace e responsabile in grado di fare azione evolutiva per sé e per gli altri ma sempre nel rispetto dell’ambiente. Un borgo sulla via Flaminia, situato sopra le Fonti del Clitunno tra Foligno e Spoleto, un raro esempio di castello di pendio con forma triangolare dell’anno Mille, abbandonato a seguito di un forte terremoto prima della Seconda Guerra mondiale, completamente ristrutturato ad opera di privati, senza nessun intervento pubblico, in quanto finalizzato allo scopo di creare un luogo privilegiato per attività culturali ed artistiche. Un ponte tra civiltà dove sono già avvenuti tanti incontri a livello internazionale, un piccolo borgo poco conosciuto in Italia ma molto all’estero. Un luogo progettato e ristrutturato a misura d’uomo, non pensato per finalità turistico commerciali, piuttosto un luogo da intendersi come un “Genius Loci” particolarmente adatto ad attività conviviali di incontro finalizzate al piacere etico ed estetico dell’arte e della superiore conoscenza.

Un luogo dove è possibile riscoprire la naturale costituzione di ogni uomo in quanto “homo faber” proteso alla novità “homo novus”, cioè riportare l’uomo al centro del suo fare partendo dalla sua irripetibile unicità di persona. Non si possono fare cambiamenti esterni se prima non abbiamo conosciuto noi stessi, quindi uomo al centro ma sempre connesso ed in sintonia con le eterne leggi della natura. Tutto questo per poter garantire una maggiore efficienza ed afficacia nella azione storica dei singoli operatori a vantaggio di tutto l’ambiente sociale. L’unico criterio fondamentale è il recupero dell’originale concetto di “persona” come inteso dai padri dell’umanesimo perenne.

Scopo della Fondazione

Principio cardine è la pari rilevanza del sapere umanistico, scientifico e tecnico e il sostegno della ricerca, sia di base che applicata, liberamente svolta ai fini del progresso culturale, scientifico, civile, sociale ed economico sia del singolo uomo che della collettività.

L’attività della Fondazione Homo Novus è ispirata ed improntata ai principi di libertà e dignità dell’individuo, di solidarietà sociale e tra le generazioni, in conformità con la Dichiarazione Universale dei diritti umani del ‘ONU 10 dicembre 1948;

opera esclusivamente per il dispiegamento e la crescita delle energie culturali, sociali ed economiche della comunità, promuovendo e sostenendo iniziative di condivisione e diffusione del sapere e di sviluppo delle capacità tecnico-scientifiche, professionali, manageriali ed imprenditoriali.

A partire da Galileo, la scienza ha fondato il suo metodo sul presupposto di una concezione dualista della conoscenza che separa il soggetto conoscente dal mondo naturale inteso come oggetto di conoscenza, concepito come autonomo, regolato da leggi costanti, indipendenti dall’uomo e descrivibile attraverso linguaggio matematico, quantitativo e formale.

Questi presupposti hanno falsificato la descrizione della conoscenza del ‘vero mondo’ delle cose a favore di una obiettivazione del mondo naturale. Questo ‘obiettivismo’ è la tendenza a ritenere ‘veri oggetti’ quelli che in realtà sono un prodotto della conoscenza umana, con tutti i suoi limiti. Emblematico è l’approccio delle scienze, compresa la psicologia, al tema dell’individuo in quanto “persona”. Mentre con il concetto di natura si intende la specie che identifica una pluralità di individui, “persona” si riferisce al singolo individuo. Sotto l’aspetto di natura siamo tutti uguali, sotto l’aspetto di persona ognuno è una identità unica ed irripetibile.

Quando usiamo un quasiasi criterio convenzionale cadiamo nell’obiettivismo scientifico tipico della nostra epoca, quindi ripercorriamo i limiti della conoscenza, quelli che hanno provocato il senso di paura, dubbio, sensi di colpa e mancanza di autostima, tutti effetti tipici della attuale situazione socioeconomica contemporanea.

Attraverso la divulgazione di un criterio pratico, razionale e funzionale all’uomo, la Fondazione Homo Novus intende provocare la sensibilità di tutte quelle intelligenze che non si accontentano delle apparenze, ma possiedono quella sete di conoscenza tipica delle persone  curiose e sensibili che vogliono di più da loro stesse.

È l’uomo la fonte primaria a cui attingere per trovare un criterio generale che indichi il coraggio di esistere, di evolversi e di affrontare le difficoltà quotidiane che, se non risolte, saranno la decadenza per molti. Occorre ripristinare il famoso “conosci te stesso” del tempio di Apollo. La prima umanità parte dalla migliore umanità. Ogni uomo ha bisogno di un riferimento di alta evidente etica che indichi la giusta proporzione per tutti ma, soprattutto, ha bisogno di strumenti pratici rilevati da un criterio funzionale alla natura dell’uomo che sia applicabile nell’immediato e porti risultati funzionali per ripristinare il valore fondamentale di “essere se stessi” cioè ripristinare quella identità che fa ognuno di noi unico ed irripetibile nel gioco dell’esistenza. L’uomo contemporaneo è letteralmente travolto dalle informazioni mediatiche rappresentate dalle nuove divinità della cultura di questo enorme web dove tutti, ma proprio tutti, proiettano i propri limiti attraverso una inconscia violenza. Stiamo perdendo il concetto originale di “che cosa è l’uomo” e quindi anche la “memoria dell’uomo”. Internet è la nuova legge biblica, il vangelo digitale fatto di concetti, immagini e parole scritte, un effetto ‘rete’ che gestisce il gioco esistenziale di tutti noi attraverso il dire

senza nessuna dimostrazione. Questo mondo “matrix” rappresenta il riferimento di tutti i giovani, quindi è il veicolo prioritario che li unisce attraverso le loro storie, la loro scienza, la loro musica, il loro modo di vestire e di fare filosofia di vita. Attraverso internet stiamo entrando in una civiltà robotica totalmente gestita dalla informazione della quantità, del convenzionale, dove l’algoritmo della quantità dei ‘like’ costituisce la tendenza. Siamo passati dal fare manuale al fare digitale attraverso una tecnologia che ‘connette’ gli individui sostituendo ai sentimenti emotivi che scaturiscono dal nostro corpo, nuovi significati digitali che li rappresentano e purtroppo tutti noi ci stiamo a poco a poco assuefando a questa nuova logica virtuale che appunto impone ma non dimostra.

Questo nuovo mondo tecnologico e tecnocratico fatto di intelligenza artificiale collettiva porta con sé l’inquietante presentimento che se non saremo noi umani a ripristinare i valori tipici del concetto umanistico di “persona” verremo in qualche modo fagocitati dalla nuova realtà nella quale siamo chiamati ad esistere.

L’uomo può gestire qualsiasi tecnologia solo partendo dal proprio senso-valore il quale si radica nel famoso ‘conosci te stesso’ citato prima. Chi è l’uomo è la domanda che direttamente o indirettamente si è fatta e si fa tutta la filosofia. Come si può guarire psicologicamente l’uomo è la domanda intrinseca ad ogni psicologia ed è intimamente correlata alla prima, in quanto per poter guarire occore conoscere qual è il criterio del benessere da ripristinare. L’uomo è una problematica aperta la cui soluzione resta in dipendenza di un valore da realizzare. Il criterio del valore è l’individuo stesso in quanto unità di azione che specifica una forma di intelligenza, quindi il processo esistenziale è induttivo– deduttivo; l’uomo è esatto a se stesso se possiede una coscienza conforme al reale che è, ed in questa visione è razionale quando applica l’esercizio critico di conoscenza appreso dalla funzione della sua coscienza basata sul proprio criterio organismico. Occorre fondare il processo della conoscenza basato sul’esattezza di coscienza di ogni uomo, in quanto l’errore che vizia la conoscenza critica non è nella natura delle facoltà intellettive e volitive, ma l’errore risiede nel processo riflessivo, nella presa e determinazione della coscienza. Ripristinare l’esattezza di coscienza significa risolvere il problema critico della conoscenza, quindi rendere le scienze funzioni di sicuro riferimento reale ed evolutivo. Soprattutto lo scienziato, il ricercatore e l’operatore sociale hanno necessità di rendere esatto il processo della conoscenza – all’interno del proprio settore operativo – in quanto la loro azione è funzione sociale.

Spesso ci dimentichiamo che queste figure professionali sono individui prima che professionisti, quindi occorre rendere esatto l’uomo in quanto strumento di conoscenza al fine di evitare qualsiasi approccio fideistico piuttosto che scientifico.

La scienza ufficiale è un atto di fede che non esiste in alcun uomo maturo, in quanto l’uomo è sempre più grande delle sue fedi

Ciò che caratterizza la conoscenza scientifica è la sua verificabilità, cioè il fatto di poter essere sempre suscettibile di verifiche e aggiornamenti.

Anche se la vera dimostrazione scientifica si documenta nella prassi, oggi possiamo vedere che ci sono ricerche che si basano sui fatti ed altre su ipotesi, quindi, almeno in linea di massima, sarebbe opportuno poter definire il criterio attraverso il quale la ricerca si possa definire verificabile in modo oggettivo.

Definiamo come ‘criterio’ una norma, una regola per discernere il vero dal falso, quindi un principio che costituisce il conforme o difforme a una cosa. Inoltre definiamo ‘scienza’ un sapere l’azione per come la natura la pone e la gestisce. Per ‘natura’ si intende ciò che è e faper nascita di leggi universali applicate ad un preciso contesto. Queste premesse sono necessarie in quanto, per poter esercitare qualsiasi razionalità scientifica, è necessaria la possibilità della applicazione di un criterio funzionale all’oggetto della ricerca, al fine di evitare qualsiasi possibilità fideistica o probalistica. Esistono due criteri per qualsiasi ricerca in qualsiasi campo, il criterio convenzionale ed il criterio di natura. Il primo implica un percorso definito appunto per convenzione tra i ricercatori, attraverso il quale si svolge tutta la ricerca che procede solo per confermare l’ipotesi iniziale della ricerca, quindi non necessariamente deve corrispondere o essere reversibile a ciò che è reale, bensì a ciò che è conforme alla premessa iniziale. Il criterio di natura, parte dal fatto che la natura possiede alla sua base una legge fondamentale ed eterna a cui anche l’uomo non può sottrarsi in quanto esistente. Date queste premesse circa la diversità di approccio nel fare ricerca, adesso passiamo al definire l’azione dell’operatore della ricerca, cioè il ricercatore.

Sappiamo che ogni uomo è un quantico energetico di intelligenza, cioè una unità informatica rice trasmittente all’interno di un ambiente informazionale. Questo significa che qualsiasi ricercatore va inteso come fattore attivo all’interno del proprio campo di ricerca, piuttostoche un osservatore passivo, quindi ogni cosa misurata o ricercata coinvolge sempre il quantico di ‘realtà’ esistenziale del ricercatore stesso.

Solo dal quantico dell’evidenza interna di se stesso il ricercatore può fare esatta la misura della propria ricerca. Un ricercatore malato – non integro in se stesso – farà sempre ricerca deviata, mentre un ricercatore che possiede la consapevolezza – per come la natura lo pone – farà una ricerca più obiettiva. Risulta evidente il risvolto economico ed il risparmio energetico conseguenziale ad una ricerca basata sul criterio di natura, in quanto tutta l’organizzazione sarebbe sempre ottimizzata al risultato, evitando al massimo gli sprechi. È evidente che lo stesso criterio lo possiamo applicare all’economia, alla politica, al diritto etc. Il tutto per avere una evoluzione sociale, soprattutto per i giovani. Questa specifica va fatta perché l’idea più diffusa della scienza è quella che la identifica con la sicurezza, con la più banale certezza della soluzione sicura, pronta per risolvere tutti i nostri problemi, da quelli economici e sociali fino a quelli personali. Quando usiamo il termine scientifico o culturale – per come definito e inteso nella comprensione di massa – attraverso testi giornalistici o universitari o accademici, quasi sempre abbiamo un significato che corrisponde all’opinione di un livello di evoluzione razionale, ma che poi bisogna sempre rapportare – in quanto funzione – all’esattezza dei fatti della vita per come essi si danno.

Un tipo di formazione accademica, una laurea, un percorso di studi specifici, implicano l’aver appreso determinate cose, usare un tipo di linguaggio, esercitare una certa logica e anche la funzione di una discreta socialità, ma non sono garanzia di accesso al ‘vero’ delle cose, sono solo apprendimenti culturali più o meno funzionali. L’uomo in quanto “ente” intelligente è strettamente vincolato al principio della verità, così come a quello della bontà e della bellezza. Sono qualità peculiari che caratterizzano qualsiasi essere umano e sono il fondamento del concetto stesso di umanesimo, il cui principio si rifà all’uno, al vero, al buono e al bello. Quello che si vuole dire è che l’idea della scienza come ‘strumento’ neutrale, sicuro ed efficace, non tiene affatto in considerazione il travaglio interiore del ricercatore come ‘individuo’, quindi le incertezze e i timori, i drammi e i sentimenti, i dubbi morali, le inconsce speranze, cioè tutta quella realtà interiore – conscia o inconscia – che accompagna il sentimento della propria e altrui umanità.

Anche la recente fisica quantistica pur introducendo la presenza del ricercatore – in qualità di osservatore – come parte attiva nel processo di analisi dei fenomeni fisici non fa alcun riferimento al ricercatore in quanto ‘ente’ o quantico intelligente, cioè vettore energetico attivo con ‘propria’ direzione. Ne consegue che ogni ricercatore – in quanto dinamica energetica attiva – è sempre il risultato della propria stessa esistenza, la quale agisce come un ‘selettore tematico’ nel processo di qualsiasi ricerca e quindi di tutte le proprietà osservate all’interno della ricerca stessa. Non viene rilevata la realtà oggettiva in modo neutro – per come essa accade in sé e per sé – ma per come siamo ‘registrati’ da tutto quel bagaglio socio-culturale in cui ognuno di noi riconosce e identifica se stesso. E questo riguarda qualsiasi realtà umana per il fatto stesso di essere un punto forza rice-trasmittente all’interno di un universo informatico.

La ricerca scientifica, così come la politica, la medicina, il diritto, l’economia e quanto altro, risulta dunque una avventura inprevedibile e in perenne trasformazione nella quale l’essere umano esprime – nel bene e nel male – tutta la sua realtà culturale e pratica soprattutto inconscia.

Esiste la realtà dell’inconscio

Dalla ricerca scientifica psicologica ci è dato di sapere che nell’uomo esiste la realtà dell’inconscio che comporta l’uso parziale della propria intelligenza, cioè l’uomo – non conoscendosi per intero – ha una oggettiva ignoranza verso se stesso, verso la propria capacità di gestione energetica di misurare il vero delle cose. Anche se le neuroscienze ci dicono che all’interno del nostro cervello ci sono 100.000 milioni di neuroni, la ricerca psicologica ci informa che di tutto questo potenziale ne usiamo molto poco. Se del nostro potenziale intellettivo conosciamo molto poco, per conseguenza è facile comprendere come la realtà dell’inconscio possa sempre anticipare e modificare gran parte dell’operato che accompagna l’esistenza di ognuno di noi, certamente siamo sempre in buona fede, ma spesso i risultati denunciano l’intrinseca contraddizione fideistica che abbiamo di noi stessi.

L’evidenza della malattia e del disagio psicologico è un fatto visibile a tutti e purtroppo coinvolge tutta l’umanità. Per il fatto stesso che nessun uomo è un’isola, ogni uomo che soffre coinvolge altri suoi simili, quindi qualsiasi intervento rivolto ad alleviare il disagio nell’uomo possiede una valenza propositiva per uno sviluppo sociale. La Fondazione Homo Novus intende promuovere l’applicazione di una psicologia quantistica in quanto i processi mentali sono molto simili alla fisica quantistica soprattutto alla luce della comprensione della dualità  onda-corpuscolo, del concetto di informazione e degli stati di sovrapposizione. Per poter accedere con evidenza e razionalità ad una ‘superiorità’ di conoscenza – conforme al proprio progetto di natura – si rende necessaria la conoscenza di nuovi codici di apprendimento, in quanto qualsiasi novità scientifica introduce la compresione di nuove realtà tese alla conoscenza di se stessi. Oggi la più avanzata ricerca psicologica umanisticoesistenziale ci dice che questa conoscenza è possibile. Mi riferisco a quella psicologia che – grazie alla propria direttività e applicazione del metodo – dimostra di saper risolvere l’evidenza del sintomo ed operare per la sua sparizione.

Si badi bene, ho detto sparizione, non spostamento del sintomo. Preso atto di questa realtà, la Fondazione Homo Novus – attraverso applicazione e divulgazione – intende favorire un dialogo con quanti hanno a cuore la formazione di un nuovo umanesimo che si evolva attraverso il ripristino etico e consapevole del potenziale quantico di intelligenza insito in ogni uomo. La caratteristica fondamentale di questo quantico è la razionalità a incontrare, fare e capire qualsiasi interazione secondo il criterio della propria identità psicobiologica.

Questo quantico si rivela soggettivamente ma si fonda nel realismo oggettivo esistenziale. Ovviamente è fondamentale la consapevolezza e la partecipazione dell’uomo in quanto primo bene di se stesso. Consapevolezza nel senso che ha coscienza di avere una insoddisfazione di base quindi un problema che da solo non riesce a risolvere, e partecipazione in quanto è lui stesso lo strumento sia oggettivo che soggettivo del proprio benessere psicofisico. Ogni uomo è costruttore della propria vita, per cui per stare bene è sufficiente ripristinare l’esattezza di coscienza e organizzare il proprio comportamento in connessione all’informazione del proprio progetto, cioè essere in identità con il proprio progetto di natura.

Nel quotidiano mestiere della vita ognuno di noi è sempre una unità di azione composta di psiche e corpo dove la psiche è senso ed il corpo è parola. Ogni unità di azione è sempre connessa e sinergica al vasto universo informazionale che chiamiamo esistenza. Quando ognuno di noi evade dal criterio biologico del proprio corpo – per come la natura pone l’essere umano nell’esistenza – siamo già operativi all’interno di una scissione, di una contraddizione tra idea, immagine mentale e reversibilità del vero mondo della vita. Questo processo provoca il fenomeno della malattia quindi il primo dovere – ma soprattutto il primo piacere – a se stessi è ripristinare il processo che porti alla salute psicobiologica.

Dalla salute possiamo in seguito ripristinare tutti i valori morali e pratici che tendono al vero, al buono e al bello, cioè uno stile di vita basato sulla qualità piuttosto che sulla quantità. Si parte dalla salute per arrivare alla funzionalità integrale attraverso la realizzazione della sfera personale, affettiva, professionale e dei collaboratori. Quindi lo scopo base di azione che motiva la Fondazione Homo Novus è la conoscenza e applicazione degli strumenti per apprendere il personale progetto di natura. Questo processo è finalizzato a ripristinare l’originale concetto di persona nel suo significato epistemico ed umanistico.

Questo è l’unico punto vincente, in quanto persona è trasmissione di valori intriseci e fondanti l’uomo stesso. Questo non per dominare ma per dare una elevazione a tutto il sociale.

L’uomo è una unità di azione psicobiologica

Nessun parametro scientifico esterno potrà mai essere sostitutivo dell’unica irripetibile individuale “essenza” di un essere umano.

Essenza significa specificità di azione, implica l’identità dell’individuo in quanto persona cioè irripetibile unicità. Quando diciamo che l’uomo è una unità di azione psicobiologica dove la psiche è senso ed il corpo è parola, si vuole poter dire che la psiche è intenzionale il che significa che è inseparabile dal suo oggetto – è un tutt’uno – e qualsiasi fenomeno psichico non sarà mai qualcosa di vuoto in quanto rappresenta il continuum tra me ed il mondo del reale.

Quindi – per capire sé stessi – è indifferente se parto dal corpo o dall’analisi psicologica in quanto entrambi sono fenomenologie della identica causa. Quando ognuno di noi dimostra a se stesso di sapersi usare per intero coglie in modo oggettivo qualsiasi realtà soggettiva, quindi è strumento esatto di esercizio di razionalità cioè di intelletto applicato.

Fare esercizio di razionalità come persona significa essere un esempio di valori etici, cioè significa fare cultura umanistica attraverso l’operato di se stessi. Ogni individuo intelligente cresce attraverso altri intelligenti, e questo accade in quanto ogni uomo è sempre connesso a tutti gli altri grazie all’intenzionalità del criterio di natura. Per intenzionalità psichica si intende la continuità metabolica tra me e l’ambiente oggettivo quindi rappresenta tutto il processo dell’inconscio che in seguito si farà volizione, desiderio, tensione.

La psiche procede per accadimenti del reale, è sempre sinergica all’insieme dell’olistico dinamico universale, ed in tal senso evade dalle categorie di tempo e spazio, mentre l’Io logico storico agisce all’interno di questi fattori.

In quanto energia primaria la psiche si manifesta in infiniti modi dalla logica razionale, all’emozione, alla percezione, al sentimento, al sogno, alle immagini libere, alla fantasia, all’intuizione, alle manifestazioni psicosomatiche sino all’inconscio, ma la conoscenza di tutte queste fenomenologie accade sempre attraverso la consapevolezza individuale. Non esiste una razionalità efficace evadendo dalla consapevolezza. La coscienza è la chiave di accesso a qualsiasi comprensione dell’attività psichica. In questa visione la coscienza è soggettività, cioè funzione della conoscenza.

Recuperata l’esattezza di coscienza si risolve anche il problema critico della conoscenza. Da quanto detto si capisce che esistono differenti velocità informatiche e differenti effettualità storiche in quanto i processi mentali sono molto simili ai processi della meccanica quantistica e la loro comprensione necessita di una mentalità elastica e di nuovi codici di interpretazione. Attraverso questi codici sarà possibile la comprensione e applicazione di una nuova psicologia quantistica funzionale.

Questo nuovo paradigma è quanto la Fondazione Homo Novus intende divulgare finalizzato ad un nuovo umanesimo. Ogni uomo evoluto a se stesso può aiutare qualsiasi altro per il fatto stesso che ognuno di noi è connesso globalmente al reale mondo della vita grazie alla realtà dello psichico.

L’uomo fa e vive ogni giorno facendosi

strada nel suo orizzonte esistenziale ed ognuno vorrebbe trovare la strada giusta. Molte sono le leggi morali esterne che impongono la prerogativa di insegnare ‘come’ trovare la strada ma finché non si conosce il criterio del proprio progetto di natura, qualsiasi procedere sarà alla cieca in quanto privo di fondamento, cioè non finalizzato a quella irripetibile unicità che fa di ognuno di noi una identità ontologica. Per poter ritrovare l’identità ontologica dell’uomo occorre applicare una razionalità ontologica, cioè un metodo operativo che sia basato sul criterio di natura. Grazie all’acquisizione di specifiche competenze la Fondazione Homo Novus si pone l’obiettivo di fornire gli strumenti adatti per una formazione a carattere umanistico basata su una razionalità ontologica. Criterio esterno di riuscita sono sempre i risultati. I risultati sono la fenomenologia concreta del nostro procedere in conformità o meno al proprio progetto. Quando un individuo è sano, funziona nel proprio lavoro, possiede un amore ed ha valide amicizie, dimostra quella maturità operativa per evolvere altri traguardi di superiore piacere.

Cenni di storia,
per capire meglio

Nell’ambito delle funzioni primarie esercitate dal nostro corpo biologico, non sempre si trovano cause che abbiano una possibilità fisica – quindi concreta – di poter essere misurate, conosciute e definite, anche se queste accadono nel nostro corpo – non esterne a noi stessi – ma non attribuibili a ricerca scientifica umana. Ognuno di noi possiede – in dote di natura – un sofisticato e innato ‘sistema interno’ di autoregolazione biologica che garantisce la sopravvivenza del nostro organismo, quindi siamo costantemente connessi con un universo informatico che chiamiamo esistenza.

Si presume che l’origine delle funzioni svolte da questo sistema ‘inconscio’ di autoregolazione biologica sia da attribuire ad una ‘logica’ interna al nostro stesso organismo, cioè una logica o automatismo di natura, anche se questa logica non è del tutto conosciuta quindi ‘inconscia’, cioè non conosciuta. Detto ciò, si potrebbe anche azzardare l’ipotesi che l’uomo – almeno nel suo aspetto organico – sia piuttosto un effetto dell’intenzionalità di natura, quella stessa natura che pone ogni possibile forma di vita biologica. Molti studi sono stati fatti in poposito ed esiste tutta una ricerca sovietica che, partendo dalle intuizioni di Freud, applica la teoria alla sperimentazione pratica attraverso gli studi fatti da Pavlov ed altri suoi collaboratori, ed infine sviluppa una teoria delle funzioni inconsce dell’organismo.

In seguito, attraverso il processo deduttivo elabora una logica correlata agli effetti, cioè di ‘come’ l’organismo (cervello compreso) regola sé stesso a garanzia di autosopravvivenza nell’ambiente.

Questa ricerca ha permesso di conoscere la ‘logica’ di come i processi fisiologici mantengono in vita l’organismo umano. L’uomo al pari di ogni specie vivente è connesso ad una informazione base che regola le leggi dell’ordine universale del cosmo. Ma l’uomo differisce dall’animale per la qualità delle funzioni rappresentate dall’intelletto, dalla volontà, dalla trascendenza, dall’intuizione, dalla capacità di sognare, dalla capacità mentale dell’astrazione, dal linguaggio e soprattutto per la funzione riflessiva della coscienza.

All’interno del panorama scientifico la psicologia rappresenta una funzione interdisciplinare a tutte le altre scienze in quanto permette all’uomo la conoscenza di strumenti funzionali ad evolvere le qualità migliori di se stesso. Storicamente la funzione scientifica della psicologia fu evidenziata nel 1936 da E. Husserl che proponeva una psicologia che fosse scienza ‘obiettiva’ della soggettività, in quanto malgrado lo sviluppo delle scienze moderne si era delineata una crisi dell’umanità europea (Vedi E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, NET, Milano, 2002). Questa posizione fu poi ripresa nel 1956 a Parigi da alcuni esponenti della psicologia dell’epoca, tra cui C. Rogers, Rollo May, A. Sutich, A. Maslow ed altri esponenti della psicologia umanistico-esistenziale.

Questo fatto sensibilizza le menti più intelligenti verso la ricerca di un criterio basato su una razionalità ontologica. Pochi anni dopo, attraverso la prassi clinica riuscita, la ricerca più avanzata nel campo della psicologia umanistico- esistenziale elabora un proprio metodo di intervento. Attraverso il processo razionale induttivodeduttivo, basato su proprie peculiari scoperte, viene intrapresa la ricerca dell’attività psichica dell’uomo. Quindi non più l’analisi degli effetti ma la ricerca della dinamica delle cause che provocano gli effetti. Avendo per oggetto di studio l’attività psichica in causa, grazie all’applicazione delle peculiari scoperte applicate alla pratica clinica, viene evidenziata la costante dimostrazione che consiste nella sparizione del sintomo e quindi la possibilità di sviluppo dell’individuo sul piano della funzionalità integrale. Da questi risultati viene elaborata la teoria e metodo di intervento. Ne deriva che l’uomo è un ente intelligente sociale fondato su un criterio di natura, cioè a) è un “composto biologico” che rispecchia l’aspetto biologico, piuttosto evidente; b) è “razionalestorico” dove razionale significa che confronta, capisce, misura, verifica e storico significa che cambia in tempo e spazio.

La prassi clinica riuscita rende evidente che la logica di natura dell’uomo è essenziale nel criterio e metamorfica nell’applicazione, cioè secondo l’esigenza delle diverse situazioni. Quindi è il criterio del proprio progetto di natura che fa ogni uomo essenziale, cioè unico ed irripetibile. Attraverso il proprio progetto l’uomo non è più oggetto del proprio divenire esistenziale ma irripetibile soggetto, cioè si forma costantemente in qualità di ‘persona’ il cui comportamento etico (ed estetico) è teso ai valori del vero, del buono e del bello. Questi valori sono i pilastri della razionalità ontologica e dell’umanesimo futuro, perché quando ognuno di noi incontra e comprende in modo consapevole le varie manifestazioni della propria intenzionalità psichica, ecco che siamo all’interno del processo di autorealizzazione. In quanto energia primaria la psiche si manifesta in infiniti modi dalla logica razionale, all’emozione, alla ercezione, al sentimento, al sogno, alla fantasia, all’intuizione, alle manifestazioni psicosomatiche sino all’inconscio, ma la conoscenza di tutte queste fenomenologie accade sempre attraverso la consapevolezza individuale.

Non esiste una razionalità efficace evadendo dalla consapevolezza. La coscienza è la chiave di accesso a qualsiasi comprensione dell’attività psichica. In questa visione la coscienza è soggettività, cioè funzione della conoscenza. Recuperata l’esattezza di coscienza si risolve anche il problema critico della conoscenza. Quando non si ha conoscenza del proprio senso-valore ogni uomo è il primo a degradare soprattutto se stesso. L’umanità oggi è il risultato di qualsiasi senso di colpa dei vari rappresentanti della storia della cultura, è la dinamica inconscia di ogni uomo tradito nella propria forza interiore. Quindi occorre avere ben chiaro quale umanesimo civico evolvere nell’umano all’interno dei fatti storici attuali, in quanto ogni democrazia è diversa dalle altre e occorre accettare le differenze storiche. Se vogliamo aiutare i giovani è necessario poter fare una pedagogia per una società futura, cioè come estrarre l’homo civis dal potenziale umano per come la natura specifica l’individuo. Questo processo implica la conoscenza di se stessi come parte dinamica e attiva all’interno di un ambiente altrettanto dinamico e attivo. L’ontologia dell’umanesimo futuro sarà conoscenza reversibile tra coscienza e verità, logica e vita, pensiero e direttività nel reale esistenziale.

L’uomo, essere umano, progetto di Natura
progettante

La Fondazione Homo Novus intende perseguire la possibilità di attuare un cambiamento di paradigma utilizzando un modello nuovo ed un uomo nuovo, nuovo nel senso che deve reimpostare tutta la sua coscienza che è stata formalizzata da ideologie, abitudini storiche, sviluppo tecnologico, ma non supportato da fondamenti umanistici, cioè senza la conoscenza del criterio di natura fondante, del progetto di natura, del nesso ontologico e della razionalità ontologica. L’ontologia, una delle branche fondamentali della filosofia, è lo studio dell’essere in quanto tale, nonché delle sue categorie fondamentali. Ontologia o metafisica in chiave più razionale, sono i modi come l’essere essenzia i modi del nostro esistere, il che vuol dire che in ogni azione, campo, attività, deve sempre essere presente il criterio base di natura, si deve avere sempre la reversibilità tra essere ed esistenza, pensiero ed azione. Quando ci si allontana da questo criterio, accade quello che stiamo vivendo, un modello che porta sempre di più fuori dall’umano e che sostituisce valori diciamo meccanici a valori umanistici esistenziali, siamo dentro un sistema che non aiuta l’umano.

Occorre quindi questo recupero e questo si effettua cambiando mente, cambiando modalità di pensiero, con unico criterio il risultato, quindi occorre rifarsi ai principi della filosofia perenne e quindi alla ontologia e quindi, nel percorso esistenziale, alla razionalità ontologica. La Fondazione Homo Novus ha le basi scientifiche e la conoscenza del criterio, criterio in grado di garantire la reversibilità e quindi il nesso ontologico, e gli strumenti per poter attuare questo cambiamento di paradigma, ed è lieta di metterli a disposizione di chi vuole. Noi Fondazione Homo Novus siamo pronti e presenti, noi ci siamo come il piccolo seme che diventa grande albero, albero della conoscenza, albero della consapevolezza, alberi della saggezza, albero della coscienza reimpostata nell’ottica della razionalità ontologica, dualità Essere esistenza. Nella pratica la razionalità ontologica storicizza tutto quanto è intuizione, e questo è quanto serve per poter attuare un reale cambiamento, mondo nuovo, modello nuovo e uomo nuovo.

Fatto questo è inevitabile l’incontro con la filosofia come la chiamò Pitagora cioè amore per la sapienza, ma per arrivare a quel punto dobbiamo fare un Homo Novus, un uomo nuovo, in grado di ripristinare il contatto con il progetto di natura, il nesso ontologico, la piena reversibilità tra immagine ed oggetto tra pensiero ed azione, tra essere ed esistenza, ripristinare il contatto con le leggi eterne della natura in perfetta armonia con i primi principi della filosofia perenne.

Extra Natura nulla salus

Ripeto volutamente questi concetti in quanto si parla molto di cambiamento, di uomo al centro, ma di fatto si parla soltanto e si agisce poco. La verità si fa e non si dice, quindi occorre effettuare un cambiamento ma per farlo è assolutamente necessario deciderlo, se non si decide di cambiare, difficilmente si potranno fare dei cambiamenti a vantaggio dei singoli e dell’ambiente circostante. La scienza ufficiale è piuttosto concorde nell’ammettere che noi ci conosciamo al 20%, utilizziamo cioè un 20% del nostro potenziale cosciente e questo vuol dire che un 80% del nostro potenziale di fatto esiste ed agisce, anticipando le scelte coscienti, e questo è il vero motivo per cui l’umano in genere si riscontra non realizzato, con difficoltà, malattie, disagi e molto altro. Occorre quindi un recupero degli strumenti che la natura ci ha dato in dote naturale, con i quali possiamo riprendere un criterio più funzionale con riscontro nei risultati.

Una Fondazione Umanistica in epoca digitale

Pensiero – azione, causa – effetto, non esiste effetto senza causa così come non esiste causa senza effetto, il problema è essere in grado di vedere cioè di avere il criterio e lo strumento che permette di affinare la sensibilità individuale ed essere quindi maggiormente familiari con gli effetti e le relative cause e viceversa.

Lo stesso vale per pensiero ed azione, noi tutti prima di essere azione siamo pensiero, così siamo fatti dalla natura, ma il passaggio dal pensiero all’azione viene filtrato dalla coscienza e se la coscienza non è esatta, nel passaggio entra una deviazione che modifica la gestione dell’azione con risultato molto spesso non corrispondente a quanto ipotizzato, la progettazione mentale può essere perfetta ma la realizzazione può essere fallimentare.

La coscienza è un momento di riflessione, dovrebbe essere uno specchio esatto che riflette senza fare aggiunte o variazioni e quindi permettere la costruzione dell’azione corrispondente, di fatto noi riscontriamo che questa reversibilità non sempre c’è e quindi il problema non è l’uomo che è sbagliato ma la sua coscienza che non è più esatta corrispondenza, per tutta una serie di motivazioni, non è uno specchio che riflette esattamente ma avviene una corruzione, una deviazione, ed il risultato è quello che scontiamo. Strumentalizzando una famosa frase attribuita a Giulio Cesare (veni, vidi, vici), la possiamo usare per dare una indicazione del livello di operatività che noi pensiamo sia necessario per garantire uno sviluppo individuale e di conseguenza nell’ambiente di riferimento prima e quindi di relazione, e questo compito è demandato alla formazione che la Fondazione Homo Novus propone ed effettua, in pratica ognuno in situazione decisionale dovrebbe trovarsi nella seguente condizione: veni: sono entrato nel problema; vidi: ho visto la soluzione; vici: l’ho applicata in modo risolutivo, vincente. Occorre quindi un recupero dell’umano recuperando la sua coscienza, riportandola ad essere allineata con la modalità originale con la quale siamo stati creati, e questo si impara come a leggere e scrivere, con volontà, pazienza ed esercizio, e per farlo si deve aumentare la propria sensibilità, con pazienza in quanto si tratta di riprendere l’uso di strumenti che non siamo abituati razionalmente ad usare, molto spesso si sospetta che esista una altra realtà ma non la si conosce e quindi è uno strumento prezioso non utilizzato.

La Fondazione Homo Novus vuole essere in grado di aiutare tutti gli operatori seri e responsabili che lo vorranno, a recuperare tutto questo spazio di azione, in modo semplice ed anche divertente, in quanto la natura di base ha il piacere, tramite incontri formativi soprattutto pratici per dare sempre evidenza continua di quanto effettivo può essere questo recupero e quanto può essere facile, basta saperlo, si tratta di andare a scuola dal proprio inconscio e di riappropriarci di quanto già ci appartiene. Oltre alla formazione, che riteniamo essenziale secondo i principi dell’imparare facendo (behavior modelling) e della formazione continua (long life learning), la Fondazione Homo Novus intende divulgare e sostenere tutte le attività inerenti l’umano in tutte le sue forme, umanesimo perenne gestito da uomini integrali cioè da uomini che hanno recuperato il contatto con il progetto di natura, progetto che si incarna in ognuno di noi, che siamo progetti di natura, progetti progettanti, cioè progetti in grado di evoluzione, creatività, azione e sviluppo, senza fine. Ognuno di noi ha al suo interno, questo progetto di natura, che ci alimenta e spinge alla crescita e sviluppo in azione creativa, ciascuno secondo il proprio progetto, non ne esistono due uguali, e tutti hanno la possibilità di realizzarlo, senza andare a scapito di altri, è prevista la realizzazione per tutti, purché ci si mantenga fedeli a questo progetto, il nostro compito è quello di mantenerci in identità con il nostro progetto e realizzarlo senza fare errori storici, La parte cosciente razionale, l’Io logico storico, ha la responsabilità storica delle scelte, ha il volante in mano, e quindi in base alle sue scelte se positive c’è riuscita, risultato, crescita, se negative c’è diminuzione, errore, sofferenza, perdita. La natura è perfetta e noi ne facciamo parte, ed è veramente una bellissima avventura l’esistenza, nonostante le difficoltà e momenti difficili, ma come si dice, se c’è un problema c’è una soluzione, semmai il problema è vedere la soluzione e questo si impara. Un viaggio straordinario che non ha limiti di età ma solo di buona volontà e voglia di essere, vivere per essere (live to be) e la Fondazione Homo Novus è estremamente lieta di poter essere mediatrice di questo passaggio di crescita e sviluppo.

Le parole che contano

a cura di Dott. Maurizio
Borri

Per misurare e analizzare l’impatto della pandemia sulla copertura mediale della tecnoscienza (prevalenza di termini tecnici e scientifici), il gruppo di ricerca PaSTIS, coordinato dal sociologo dell’Università di Padova Federico Neresini, ha realizzato uno studio sull’attenzione dedicata alla presenza di t ermini t ecnici e s cientifici nei principali quotidiani italiani durante il 2020 mediante il progetto TIPS (Technoscientific Issues in the Public Sphere). Tramite una piattaforma web appositamente costruita vengono raccolti e sottoposti ad analisi automatica i testi degli articoli pubblicati dagli otto principali quotidiani italiani, dove emerge che gli effetti della pandemia sulla comunicazione pubblica sono evidenti anche sotto il profilo qualitativo.

Prima del 2020 l’esplorazione spaziale, le tematiche ambientali, la ricerca biomedica e le neuroscienze costituivano alcune delle principali tematiche di lungo periodo con cui si alimentava la copertura mediale.

Nel 2020 molte di queste tematiche spariscono dalle prime posizioni, scalzate da altre quali test, vaccino e coronavirus; si osserva inoltre un riposizionamento di alcune parole che con la pandemia sono state investite di significati e interessi diversi. Nell’insieme, la triade “test-virus-vaccino” la fa da padrona in tutta la comunicazione mediatica. Significa che sia gli argomenti che le parole chiave legate al coronavirus hanno profondamente indirizzato la comunicazione giornalistica del 2020. Nel quadriennio precedente i temi maggiormente richiamati sono quelli legati all’ambito dell’oncologia e della salute, delle neuroscienze, dell’intelligenza artificiale, della ricerca universitaria e degli animali. Mentre il 2020 mostra un panorama profondamente diverso, poiché le parole della pandemia hanno mutato profondamente le loro caratteristiche preminenti, appropriandosi anche di parole già presenti, ma ridisegnandone il significato. Molte delle istituzioni legate alla pandemia appaiono sui media non solo quando si parla di Covid all’interno di articoli dal prevalente contenuto scientifico, ma anche nel contesto di articoli maggiormente legati ad altri domini tematici, come per esempio quello della politica, della cronaca o dell’economia.

Un impatto senza precedenti

Nessun tema riguardante la scienza e la tecnologia ha avuto un effetto così dirompente sul dibattito pubblico come la pandemia di Covid-19. La pandemia ha spinto i maggiori quotidiani italiani a dare maggiore spazio all’effettualità virale, attraverso alcune ‘parole chiave’ legate al coronavirus. E sono proprio queste parole ad effetto ‘contagioso’ ad aver dominato gli articoli che fanno riferimento alla scienza del 2020, cioè si intravede anche un effetto di riposizionamento di alcune parole che con la pandemia sono state in una certa misura investite di “significati” e “interessi diversi”.

Tutta la psicologia della comunicazione conosce molto bene i processi legati al significato che accompagna le parole e gli effetti consequenziali che tali significati scatenano, soprattutto quando queste parole sono ossessivamente e incessantemente ripetute da mattino a sera attraverso qualsiasi mezzo mediatico. Sono processi fisiologici di stimolorisposta a conseguenza adattiva evidenziati da tutta la ricerca neurofisiologica fatta in passato in riferimento all’elaborazione mentale quando stimolata da una ripetizione ossessiva di parole legate ad un concetto il cui fine è creare una specifica immagine mentale al fine di provocare un determinato stato d’animo.

Parliamo di associazione, dove a ‘quella’ parola si crea uno stato emotivo prolungato di paura, disagio e stress che può alterare la normale risposta fisiologica. Al pari di come una immagine di un campo di concentramento inneschi – in modo automatico – tutta una serie di associazioni legate alla disumanizzazione.

Pragmatica della comunicazione umana

Nel libro “Pragmatica della comunicazione umana” del 1967, (trad. it. Editrice Astrolabio, Ubaldini Editore, Roma 1971), P. Watzlawick, J. Helmick Beavin e Don D. Jackson, tre ricercatori del Mental Research Istitute di Palo Alto (California), presentarono uno studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi inerente il comportamento interattivo umano. Viene evidenziato il fatto che i rapporti interattivi tra gli individui sono determinati essenzialmente dal tipo di comunicazione che essi adoperano tra loro. Attraverso l’analisi e lo studio della comunicazione è possibile individuare delle ‘patologie’ della comunicazione e dimostrare che ‘sono esse’ a produrre nell’uomo un comportamento patologico chiamato ‘follia’.

Questo accade in quanto la comunicazione è una ‘condizio sine qua non’ della vita umana e dell’ordinamento sociale. Ognuno di noi sin dai primissimi anni di vita è coinvolto in un complesso processo di acquisizioni di regole dettate per lo più dal ceppo culturale e fideistico del gruppo di adulti di riferimento, cioè quel piccolo (o grande) nucleo sociale in cui ogni bambino nasce e si sviluppa.

Ogni essere umano nasce con una propria identità dettata dallo specifico progetto di natura ma grazie alla grande capacità di adattamento per la sopravvivenza che l’uomo possiede, molto spesso (per non dire sempre) accade che l’educazione socioculturale si sovrapponga a questa identità, per cui ogni uomo è più il frutto dell’ambiente in cui nasce e si sviluppa piuttosto che di se stesso. Dagli studi sulla comunicazione ci è dato di sapere che la notizia di un qualsiasi messaggio trasmette informazioni, che sono il ‘contenuto’ del messaggio indipendentemente dal fatto se vero o falso. Sappiamo inoltre che un modo inesatto di parlare o scrivere – usato in modo consapevole per una forma di convenienza – possa, alla fine, confondere il pensiero, soprattutto quando chi scrive o parla perde la consapevolezza della sua inesattezza o contraddittorietà. Il mondo in cui viviamo è ben lontano da essere un mondo ‘logico’ e anche la ricerca fatta dall’Unità di Ricerca Pa.S.T.I.S. del Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Sociale dell’Università degli Studi di Padova ci dice quanto siamo tutti esposti e condizionati da una comunicazione mediatica che produce un comportamento “paradossale”. Un paradosso è una contraddizione logica che deriva dalle deduzioni “coerenti” di premesse corrette.

Una comunicazione paradossale avrà l’effetto di legare in doppio in quanto la “radice” del conflitto, cioè se salvare la capra o il cavolo, è sempre rintracciabile ad una contraddizione tra le “alternative” che sono state offerte o imposte. In natura la contraddizione non esiste, una cosa o individuazione o situazione non può – contemporaneamente – essere in un modo e nel modo opposto, quindi si deduce che solo l’uomo possiede la capacità di “vivere” l’esperienza del paradosso.

L’incredibile capacità di adattamento all’ambiente (informatico) è sostenuto soltanto dal “significato” che ognuno di noi dà del mondo in cui vive, nel senso che chi ha un “perché” per vivere, quasi sempre sopporterà “come” vivere. Dal livello di coscienza che ognuno di noi possiede nasce la capacità di essere auto-consapevole della libertà di conoscenza in relazione all’ambiente. Ogni uomo fa vera conoscenza solo attraverso l’esperienza, cioè confronta ciò che conosce con la sua esistenza e reagisce a quanto conosciuto in base a ‘quanto’ e ‘come’ capisce.

Quindi il “dilemma” o “paradosso” dell’esistenza umana è quello che insorge dalla capacità dell’uomo di sperimentare se stesso tanto come oggetto quanto come soggetto di tutto ciò che conosce. Spesso ci dimentichiamo che siamo enti energetici rice-trasmittenti che vivono all’interno di un flusso costante di informazioni.

L’uomo è rimasto indietro, non perché sia inferiore come capacità d’azione, ma solo perché non conosce il proprio potenziale valore di intelligenza e quindi si usa in parte e non per intero. Quando qualsiasi parola o comunicazione – per il processo associativo insito nei processi mentali – provoca una reazione emotiva di paura, dubbio o colpa, forse è meglio verificare la sua finalità, in quanto abbiamo visto come gran parte della globalità dello spazio delle informazioni che circolano in maniera spasmodica e incontrollata hanno cambiato le nostre menti. Come abbiamo visto in precedenza tutto il contenuto di qualsiasi comunicazione può essere manipolato, quindi non necessariamente possiede una corrispondente funzione umana.

Come esempio prendiamo il “gene” che di per sé è una struttura biologica che nel tempo è anche diventato un “simbolo” investito di significato culturale indipendente dalle sue proprietà biologiche. Questo significato indipendente è una informazione aggiunta, elaborata senza alcun riferimento ad un concreto semplice della natura, cioè è una immagine fine a se stessa. Questa informazione fine a se stessa che non deriva dalla natura viene definita “meme”. L’informazione memica non consente la reversibilità di coincidenza con il reale biologico vitale. I memi sono imitazione o idee che si diffondono velocemente da un cervello all’altro. Sono paragonabili a “virus” che si alloggiano nell’apparato cerebrotonico con priorità di accesso alla coscienza e volontà.

Questa informazione è l’unità base per la diffusione di idee, cultura, stereotipi. La memetica è un filone di studio che vede coinvolti personaggi delun calibro di R. Dawkins, biologo, utore del libro “The Selfish Gene, New Edition Oxford University Press, 1989, trad. it. “Il gene egoista”, Mondadori, MI, 1995. R. Brodie, (inventore del programma Microsoft Word), autore del libro ” Virus of the mind”, Integral Press, 1996, trad. it. “Virus della mente”, Ecomind Publication, 2000 e S. Blackmore, “The Meme Machine”, Oxford Univ. Press 2000. Abbiamo avuto tutti la netta evidenza di quanto sia più la tecnologia a tenere unito l’uomo piuttosto che i valori umanistici acquisiti dal passato. Significa che siamo più tecnologici che umani? No. Semplicemente non ci siamo aggiornati rispetto alla tecnologia informatica imposta dal processo virtuale. L’uomo ha da tempo perso la sua identità costituente. Nasce con un progetto di natura, quindi con una identità ben precisa, sempre finalizzata alla realizzazione esistenziale qualitativa, cioè una vita felice, realizzata, senza malattie o disagio mentale. Purtroppo bisogna prendere atto che la maggioranza di individui, soprattutto i giovani, si sperimenta in costante scacco esistenziale. La responsabilità di ogni individuo che vuole di più da se stesso è verificare la funzionalità della propria coscienza, perché è tutto da dimostrare che abbiamo una coscienza funzionale. Il senso di paura, colpa o disagio è già un campanello di allarme, in quanto indica una coscienza divelta dalla propria identità di natura, mentre avere una coscienza in identità di se stessi rappresenta il modo più funzionale per l’autorealizzazione. Questo è il continuo processo della conoscenza finalizzato a rendere funzionale il proprio stile di vita, conforme alla identità del proprio progetto di natura.

Padova, 31 marzo 2021, primo rapporto

del Progetto Technoscientific Issues in the

Public Sphere (TIPS) condotto dall’Unità di

Ricerca PaSTIS del Dipartimento di Filosofia,

Sociologia, Pedagogia e Psicologia Sociale

dell’Università degli Studi di Padova.

www.pastis-research.eu – www.tipsproject.eu

Eventi congressuali

a cura di Dott. Maurizio
Borri

La consapevolezza quale antidoto alle nuove e infinite “emergenze”

Il giorno 24 settembre 2022 si è tenuto un interessante webinar organizzato da Fondazione Homo Novus ETS, Associazione Homo Novus e AMBB Associazione scientifica di medicina integrata tra biochimica e biofisica il cui Presidente Prof Piergiorgio Spaggiari non ha potuto esporre la sua relazione al suo momento causa sopraggiunti impegni. Di seguito vengono riportate le relazioni degli interventi effettuati, il video del webinar è disponibile sul sito della Associazione Homo Novus. Introduce la sessione l’ing. Osvaldo Pasqual, Presidente Associazione Homo Novus – pro justitia et veritate, dicendo che affrontare un tema come quello della consapevolezza, in un’epoca in cui le fake news dilagano, non è certamente semplice, ma, come ormai abitudine della Associazione Homo Novus, ci accingiamo a farlo con il nostro consueto senso critico e qualità conclamata dei relatori che animano i ns webinar.

a cura di Avv. Alessandro
Benni de Sena

Negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, questo tema della consapevolezza venne trattato a livelli di una divulgazione senza eguali, da uno dei più grandi, a mio avviso, psicoterapeuti mai esistiti: il dr Eric Berne, il padre della cosiddetta “Analisi Transazionale”.

In alcuni suoi scritti, che divennero in breve tempo dei best sellers, venduti anche nelle edicole, come “Io sono ok, tu sei ok” e “Ciao e poi”, tra le persone

comuni divennero familiari le figure del “genitore”, de “l’adulto” e del “bambino”, come l’autore ebbe a distinguere i principali stati dell’io, e il linguaggio della psicologia e anche della psichiatria assunse un carattere di cultura popolare, oserei dire, come la musica pop di quel periodo, dove ad esempio gruppi come i Beatles, furono oggetto di fenomeni di acclamazione di massa, che ancor oggi non trovano una spiegazione convincente. Eric Berne fu nei confronti della psicologia, ciò che i Beatles rappresentarono nei confronti della musica: un fenomeno caratterizzante ed identificativo di un ventennio praticamente irripetibile. Nei lavori di Berne, la consapevolezza costituiva il punto di arrivo e la “guarigione”: il soggetto consapevole riacquistava la sua libertà di esser pienamente sé stesso, interpretando i diversi ruoli del genitore, dell’adulto e del bambino libero da ogni contaminazione (il genitore che contamina l’adulto, ma soprattutto il genitore e l’adulto che contaminano il bambino, inteso come la forma più genuina di una persona). Questi temi vennero poi sviluppati in un altro lavoro di Eric Berne, intitolato “A che gioco giochiamo”, anche questo oggetto di numerose ristampe.

a cura di Dott. Ing.
Paolo Renati

In quest’opera, Berne elenca le principali casistiche dove una persona si trova ad interpretare ruoli, che se da una parte gli consentono di “vivere” anche un’intera esistenza, giocando (appunto nel senso inglese del termine play) ruoli noti ed accettati anche da intere comunità (famiglie, luoghi di lavoro, società, ecc.), dall’altra finiscono quasi sempre in maniera tragica (malattie mentali irreversibili, morte). Solo nel momento in cui la persona si rende conto, cioè diventa consapevole di “giocare” un ruolo imposto da altri, inizia il processo di guarigione e la persona ridiventa libera. In “A che gioco giochiamo”, le tre figure del genitore, dell’adulto e del bambino, capisaldi dell’Analisi Transazionale, si esplicitano più propriamente nei ruoli della “vittima” (il soggetto malato), del “persecutore” e del “salvatore”, dove molto spesso questi ultimi due vengono svolti da una stessa persona, in tempi diversi. Ebbene ciò che è accaduto in questi ultimi 2 anni, può essere spiegato con l’Analisi Transazionale di Eric Berne? O meglio ancora con il suo libro dei giochi, dove molti stati hanno impersonato alternativamente il ruolo del Persecutore (lockdown, imposizione di farmaci sperimentali, riduzione delle libertà personali, divieto di lavorare e di procurarsi un reddito) e del Salvatore (contributi a fondo perduto, aiuti)? Mi auguro, ma ne sono quasi certo, che questo webinar possa suggerire ad ognuna delle persone che lo seguiranno la loro particolare risposta.

a cura di Ing. Ovaldo
Pasqual

Avv. Alessandro Benni de Sena, Associazione Homo Novus, titolo: Diritto e società nelle nuove e continue emergenze. Quando si parla di “continue ed infinite emergenze” si dovrebbero considerare, in questo momento storico, anche le conseguenze sociali e psicologiche del perdurare di una situazione di continuo stress, iniziato nel

2020 con l’emergenza pandemica e i c.d. lockdown e continuata ininterrottamente nel 2022, cui aggiungere prima l’emergenza idrica estiva, poi l’attuale deflagrare dell’emergenza energetica, economica e sociale scaturente dalla tensione geopolitica in atto. È indubbio che dal 2020 la gestione pandemica e la comunicazione siano state molto invasive, di fatto e di diritto, nella limitazione e/o disciplina di libertà e diritti fondamentali. La legislazione è stata “schizofrenica”, caratterizzata da un susseguirsi di decreti legge e circolari oggettivamente metteva in difficoltà gli stessi operatori del diritto e provocava un forte senso di incertezza negli operatori economici, nelle famiglie, nelle persone. Gli stessi provvedimenti normativi imponevano misure e concetti di distanziamento sociale o addirittura di isolamento connesso all’uso di dispositivi di protezione delle vie respiratorie.

È da evidenziare che nei testi normativi si è passati dal concetto di distanziamento sociale a quello di isolamento sociale, parole ben precise, diverse e con implicazioni molto pregnanti. In generale, poi, l’uso prolungato delle mascherine non è scevro da conseguenze, non solo mediche, ma anche psicologiche e sociali sia per gli adulti, sia per i bambini. Anche le forme comunicative sono state molto pervasive: la stessa vetrizzazione delle opinioni degli esperti ha alimentato atteggiamenti ansiogeni. Tutto ciò ha instillato e diffuso paura, se non terrore, nelle persone.

a cura di Ing. Gian
Franco Grassi

È chiaro che la pandemia e la sua gestione hanno avuto effetti su più aspetti della società (c.d. sindemia): salute individuale, ma anche tenuta/carenza dei servizi medici, insicurezza sociale ed individuale, divisione sociale, perdite economiche, povertà, violenza. Non si può sottacere che prolungati periodi di stress comportano l’attivazione di meccanismi di difesa contro la paura e il pericolo, tra cui l’aggressività. A distanza di quasi tre anni, oggi ci troviamo ad affrontare nuove emergenze dopo quella sanitaria, senza soluzione di continuità. Detto diversamente, il sistema economico-sociale e personale/ emozionale è già “provato” e pone questioni su come la persona possa gestire un continuo stato di emergenza/ pressione. Senza entrare nel merito delle decisioni e della gestione pandemica, ad oggi il dato è oggettivo e sugellato dall’introduzione del c.d. bonus psicologo (misura prevista dall’articolo 1-quater, comma 3°, decreto-legge n. 228/2021, convertito dalla legge n. 15/2022) per sostenere proprio le persone in condizione di ansia, depressione, stress e fragilità psicologica a causa dell’emergenza pandemica.

Perché tutti questi aspetti della sindemia interessano al giurista? In questo momento storico si pone la questione della consapevolezza, intesa nel senso più ampio (di essere consapevole, avere cognizione e coscienza), ossia di capacità di saper individuare e capire la sostanza dei problemi, così da instaurare un confronto costruttivo per cercare di risolvere le difficoltà, riconoscendo ed abbandonando i meccanismi di difesa psicologici inconsci, dopo la crisi e la divisione sociale vissuta. Avere cognizione permette anche di abbandonare la semplificazione, di cui si è fatto uso nello stato di emergenza.

Troppo spesso nell’argomentare nei diversi settori (giuridico, medico, psicologico, sociale, etc.) si è, da tempo, ricorso alla summa divisio in due fazioni di un problema. Questa semplificazione e giustapposizione ideologica non tiene conto della varietà di punti di vista e di questioni sostanziali da affrontare, dunque rischia di essere inconcludente nella sua assolutezza.Infatti, non si tratta banalmente di ricondurre le richieste di trasparenza e confronto sui temi pandemici al fronte dei negazionisti, ma di rispondere a reali istanze di comunicare in modo chiaro e trasparente a fronte di possibili valutazioni scientifiche e politiche diverse, ovvero a fronte di provvedimenti incoerenti o non chiari. Si pensi al caso dell’obbligo vaccinale: l’Austria, primo Paese europeo ad introdurre l’obbligo vaccinale generalizzato, lo ha sospeso dopo pochi mesi, in quanto la Commissione scientifica incaricata dal Governo ha ritenuto che la misura non fosse proporzionale in quel momento storico, con una prima relazione dell’8.03.2022 confermata a distanza di pochi mesi, le relazioni della commissione austriaca sono pubblicate nel sito ufficiale della Cancelleria federale austriaca.

Non interessa in questa sede affrontare il tema dell’obbligo vaccinale, ma il fatto che la commissione scientifica governativa ha effettuato una valutazione di ampio respiro (considerando la prevalenza della variante omicron meno pericolosa, l’alto numero di guariti, il momento storico per cui non è indicato procedere a vaccinazione di massima in pieno o fine inverno per non vaccinare o troppo tardi o troppo presto proprio per massimizzare e conservare la copertura immunologica raggiunta anche naturale, la presenza di cure come monoclonali e antivirali – presenti anche in Italia – che hanno dimostrato un’efficacia nel prevenire la morte e la malattia grave fino al 90% quindi la pressione ospedaliera, la presa d’atto che la vaccinazione non serve a prevenire l’infezione, ma la malattia, la presenza di eventi avversi da spiegare e di comprensibili paure o perplessità, la maggiore conoscenza scientifica acquisita e che si sta acquisendo, il criterio non solo della proporzionalità ma anche delle necessità della misura, il tutto ferma la necessità di un costante monitoraggio della situazione), si segnala al riguarda il webinar del’8.06.2022 “Vaccini Covis19: l’Austria inverte la rotta”, organizzato da Associazione Homo Novus, A.M.B.B. e Fondazione Homo Novus, la cui registrazione è disponibile nel sito internet www.homonovus.it nella sezione Eventi.

Lo Stato deve effettuare previsioni e giustificarle, deve ponderare gli interessi in gioco e deve rispondere all’esigenza di documentazione e trasparenza. Così la commissione austriaca, esprimendo principî generali condivisibili. In questa sede interessa sottolineare come questa visione sia mancata in Italia, sicuramente dal punto di vista comunicativo.

Con buona pace dei mea culpa che non si è riuscito a fare campagna informativa e di convincimento. Questa assenza di chiarezza e trasparenza genera dubbi che non vengono risolti, ma questi sono reali e di sostanza nel dibattito critico e costruttivo del merito delle scelte.

Le affermazioni di principio autopostulanti, soprattutto ove – si badi – la comunità scientifica ufficiale presenta diverse sfaccettature, portano a distorsioni di approccio metodologico e di confronto, che non viene consentito, alimentando il dissenso sociale. D’altra parte, il ricorso alle semplificazioni e ai principî generali (come tali corretti e condivisibili, altra cosa è la verifica dell’applicabilità in concreto) non è una novità, ma pare un fenomeno che si ritrova in diversi ambiti. Solo per esemplificare, si pensi al c.d. diritto al successo scolastico, apparentemente una conquista, che ha portato ad un decadimento di un sistema, quello dell’istruzione, invidiato anche all’estero, con ricadute sulla qualità della formazione dei giovani.

Se si considera, poi, il sostrato sociale, lo scenario diventa più preoccupante: data la crisi educativa delle nuove generazioni, la crisi della famiglia “perfetta” idilliaca, il cambiamento generazionale, dalla generazione del “no” alla generazione del “sì” ove si può fare tutto e tutto è dovuto senza bisogno di impegno/ responsabilità, l’aumento di comportamenti egoici ad esempio è la cd. adultescenza che si riferisce allo stile di vita di chi, entrato ormai nell’età adulta, continua a comportarsi da adolescente, la vetrinizzazione della vita privata con prevalenza dell’immagine sulla parola, ebbene si comprende come ci si trova di fronte ad una società fragile, a rischio di impoverimento culturale, decadimento cognitivo e analfabetismo emozionale.

In generale, il condivisibile riconoscimento di diritti sociali o di libertà deve confrontarsi con la realtà. L’astrazione dei rapporti umani scissi dalla realtà o natura, che dall’uomo non è controllabile, rischia di creare astrazioni o finzioni. Si pensi al caso dell’attribuzione automatica del cognome paterno al figlio, ritenuta costituzionalmente illegittima dalla Corte Costituzionale. Ma è la stessa Corte a ricordare che «occorre preservare la funzione del cognome, identitaria e di identificazione, a livello giuridico e sociale, nei rapporti di diritto pubblico e di diritto privato, che non è compatibile con un meccanismo moltiplicatore dei cognomi nel succedersi delle generazioni». Ed ancora. Il ricorso a formulazioni come il best interest del minore ha permesso grandi conquiste per nuove formazioni sociali, alternative alla famiglia fondata sul matrimonio. In un certo senso si è eterodeterminato un diritto, la cui configurabilità è solo postulata: il diritto di una coppia si fonda sul diritto di un terzo soggetto, il minore.

Assistiamo ad una privatizzazione dei rapporti/interessi individuali-egoistici, che non tengono conto dei limiti di natura o oggettivi, come quelli sul cognome appena visti, e dunque delle criticità sulle quali, si badi, confrontarsi per comporle e superarle. Questi limiti o elementi di natura, in tutto l’atteggiarsi umano, non dovrebbero essere né esagerati, né sminuiti, ma si dovrebbe avere consapevolezza del posto dell’uomo nella natura, riprendendo un titolo di un libro in un campo diverso.

Nel rilevare le differenze e nell’interrogarsi su di esse è necessario guardarsi da una forma molto frequente di falsa interpretazione, che finisce per distorcere e falsare l’opinione espressa. Non si sa se è più assurdo o più falso negare la realtà di differenze. Ma sarebbe altrettanto falso o assurdo esagerarne l’ampiezza. (HUXLEY, il posto dell’uomo nella natura e altri scritti). Tornando agli ultimi anni di pandemia, abbiamo assistito a profonde divisioni sociali, forse perché il metodo usato prescinde dal necessario legame del consenso di composizione degli interessi individuali e generali, secondo un principio ordinatore fulcro della società stessa.

Manca l’individuazione del criterio di unità. Gli interessi individuali e collettivi sono ordinati secondo il principio di confliggenza o composizione: l’interesse individuale-egosistico può essere a-sociale ove venga in conflitto con altri interessi individuali o con interessi collettivi o generali. In un gruppo sociale, al principio di confliggenza-composizione si sovrappone il principio ordinatore (o causa prima di formazione del gruppo), che disciplina il principio di confliggenza-composizione allo scopo di assicurare la coesione del gruppo stesso; solo successivamente vi saranno le regole che assolvono alla funzione di preordinare le procedure di composizione degli interessi.

In questo senso, ad esempio, il sistema degli incentivi, quale quello della certificazione verde per indurre a sottoporsi a vaccinazione o c.d. obbligo indiretto o accompagnamento gentile, non era persuasivo, anzi il sistema degli incentivi prescinde da tutto questo: non solo dalla previsione di un obbligo espresso e diretto, ma finanche dai principi di composizione e ordinatorio, che assicurano la coesione stessa della società civile, e, in fin dei conti, anche dalle regole di composizione. Tale sistema ha indotto a prevedere sanzioni o conseguenze negative (incidenti su diritti fondamentali dell’individuo, come la libertà personale o il diritto al lavoro), pur in assenza di obbligo, perché si spinge a fare o tollerare certi atti o fatti, senza bisogno di convincere le persone: non è necessario convincere che sia la cosa giusta, anzi si prescinde da questo, cioè dal convincimento e, quindi, dal consenso, dal momento che è sufficiente renderla conveniente. In effetti, il sistema degli incentivi è portentoso, perché spinge a fare o tollerare certi atti o fatti, senza bisogno di convincere le persone.

Questo perché non è necessario, anzi si prescinde da questo, convincere che sia la cosa giusta, essendo sufficiente renderla conveniente. Ma questo è il campo dell’economia, non delle libertà e dei diritti costituzionali. Dunque il giurista deve porsi il problema di come la società possa influire sul diritto e viceversa come il diritto possa influire sulla società e, in entrambi i casi se vi sono dei limiti ineludibili.

Dato il mutare della sensibilità sociale e dei modelli culturali e comportamentali, esistono valori oggettivi preesistenti ed immutabili e come determinarli (si veda il diritto naturale)? Di converso, la politica può determinare la società, condizionandone lo sviluppo attraverso i provvedimenti normativi di politiche sociali, economiche, etc. Occorre, quindi, interrogarsi, dopo oltre due anni di provvedimenti normativi incisivi, su come la società/le persone siano influenzati psicologicamente e socialmente di fronte alla gestione di nuove emergenze. In questo senso è opportuno stimolare la consapevolezza, ovvero il senso critico e il metodo. Trasportando alle diverse questioni attuali quanto scritto dal noto giurista P. Calamandrei alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, possiamo forse dire anche per l’argomento che si siamo prefissati che «il vero pericolo (…) non viene dal di fuori: è un lento esaurimento interno delle coscienze, che le rende acquiescenti e rassegnate. (…).

La pigrizia porta ad adagiarsi nell’abitudine, che vuol dire intorpidimento della curiosità critica e sclerosi della umana sensibilità; al posto della pungente pietà che obbliga lo spirito a vegliare in permanenza, subentra con gli anni la comoda indifferenza del burocrate, che gli consente di vivere dolcemente in dormiveglia. (…). È una malattia mentale, simile all’agorafobia: il terrore della propria indipendenza (…)». Si comprende, dunque, lo stretto legame tra diritto e società.

Dott. Ing Paolo Renati Associazione Homo Novus, titolo:

Il sentimento della Natura come base imprescindibile per ogni rinascimento della Vita. Brevi e spinosi commenti sulle “emergenze” del nostro tempo.

I problemi che stiamo esperendo in questa temporalmente irrisoria, ma acutissima, parentesi dell’antropocene, sono di scala planetaria e, oltre a riguardare l’imminente collasso di tutta l’umanità (a meno di un repentino “risveglio della tigre” interiore di ogni essere umano), tali problemi interessano purtroppo la messa in pericolo di quell’unica (ontologica e non ideologica) “legge” da seguire e che non è discutibile…

quella del funzionamento della vita, della biologia cioè di quell’autentico regno pre-tecnico che per tutti noi è sacro grembo oltre che di auspicabile “grande oceano” a cui tornare dopo il viaggio da gocce d’acqua (per dirla con R. Panikkar). La biologia, alle proprie radici funzionali, e la biosfera tutta, stanno venendo messe in pericolo… e non per “emergenze climatiche” naturali (già accadute molte volte) o antropiche… nel senso che, semmai, tali emergenze sono indotte ad arte, e con mezzi tecnologici ignoti ai più, proprio dalla medesima mano che propaganda la responsabilità delle moltitudini del demos, ignaro e da condurre fino al baratro del controllo biometrico assoluto. Stiamo parlando tanto di geoingegneria nei nostri cieli, quanto di biologia sintetica, tanto di sottrazione di fonti d’acqua e di terreni vecchia di decenni, quanto di elettrificazione e antenne a tappeto di tutto il globo, tanto di agenda “green” fondata sulla promozione di una unica forma di fornitura energetica (l’elettricità) che non risolve alcun problema di impatto ambientale (anzi!), quanto di rimozione della proprietà privata e del rendere gli esseri umani di fatto “utenti della loro esistenza” (e sotto ricatto).

Stiamo parlando tanto di cultura gender e dissoluzione della sessualità biologica innata, quanto di decostruzione della famiglia secondo natura, neuro-programmazione seduttiva dei bambini e di trans-umanesimo, stiamo parlando di foraggiamento bisecolare di credenze bio-medico-sanitarie in presunte epidemie e contagi da parte di “germi” (naturalmente o sinteticamente generati) che non hanno nulla di dimostrato e di negazione del confronto scientifico scevro da censure, bias, “gatekeeping tamponali” e fazionismi. Stiamo parlando di iniettarsi prodotti sintetici sperimentali (così da esser dei “bravi cittadini”) prodotti dai medesimi esponenti e sostenitori del “problema del sovrappopolamento”, senza che nessuno si interroghi sul come mai (viste le loro pubblicamente dichiarate idee sul pericoloso eccesso demografico) non colgano allora la palla al balzo di una “pandemia” da coronavirus, lasciando fare alla natura “il proprio corso”, ed invece ci tengano così tanto a che la gente “si salvi la vita”… tanto da precipitarsi a creare grottesche canzoncine di Natale in televisione e ricattare i reticenti fino al midollo. Ma loro sono filantropi!

La capiamo già così, o la dobbiamo spiegare? Siamo schietti. Stiamo parlando del fatto che se una moltitudine di individui sufficientemente numerosa non comprende (e in fretta!) il “perverso disegno” che da tempo si svolge sulle nostre teste e non inizia a “unire i puntini” che collegano i molti livelli di espressione del “sistema” sociale-economico-politico-tecnico in cui viviamo, e che crediamo invalicabile, allora siamo spacciati. Se una massa critica (in senso numerico e filosofico), entro poco tempo, non diviene pronta a far crollare dentro di sé idoli e capisaldi di molti di quelli che si credono essere i riferimenti di base del mondo (il denaro, gli stati, il mercato, il lavoro salariato, le malattie contagiose, le leggi, la cosiddetta istruzione, la scienza e le chiese varie), costruiti da tempo per svolgere indisturbatamente un controllo solo crescente, significa che non faremo in tempo a impedire che si instauri una distopia planetaria di cui poca fantascienza ha saputo suggerirci l’orrore.

Ciò che stiamo vivendo è la conseguenza di uno iato tra linguaggio e realtà e la patologica pretesa, degna di psicosi clinica, dell’adeguamento della seconda al primo. La radice di questa narcosi è scientifica (oltre che estetica, percettiva) e ciò si fa evidente nella prassi empirica, che sembra consegnare verità oggettive, ma solo quando queste poche pagine rappresentano il distillato di oltre 40 anni di consulenze su due tipi di capricci: quelli dei bambini che mandano in crisi i genitori e quelli dei vecchi che fanno altrettanto con i figli. Cercando di individuare di volta in volta le strategie pratiche per fronteggiare sia gli uni che gli altri, ho avuto modo di verificare quanto sia vero il detto “Diventando vecchi si ritorna bambini”.

E’ stata proprio la somiglianza delle strategie usate per l’età evolutiva e per quella involutiva a darmi l’idea di metterle a confronto per spiegare quanto siano diversi gli obbiettivi a seconda delle diverse età dei “capricciosi”. Tenere presente la differenza tra chi può essere educato e chi solo arginato aiuta a non mancare di rispetto né all’uno né all’altro. Insegnare l’importanza di una regola a un bambino non significa adultizzarlo, ma investire sulla sua crescita, distrarre un vecchio dalla testardaggine di una presa di posizione non significa infastidirlo, ma offrirgli una via d’uscita da un vicolo cieco comportamentale nel quale il deficit cognitivo lo ha spinto.

Anche lo spirito che anima l’accudimento di piccoli e vecchi cambia: accompagnare verso il futuro chi ha la vita davanti dà gioia, cercare di tenere attivo il pensiero in chi si avvia alla fine procura un grande dolore. Prima di addentrarmi nel vivo del discorso intendo fare alcune precisazioni per sgombrare il campo da possibili equivoci. Utilizzo i termini figlio e genitore solo per ragioni di snellimento stilistico, ma i destinatari delle mie riflessioni e i protagonisti dei fatti che mi hanno ispirato sono donne e uomini. Con deficit/deterioramento cognitivo/ demenza intendo indicare genericamente un disturbo intellettivo da involuzione indipendentemente dalla patologia che ne è la causa. La scelta di non addentrarmi in aspetti propriamente neurologici è stata dettata da due motivi:

1. la consapevolezza di non avere conoscenze specifiche in tale campo;

2. il desiderio di offrire unicamente degli strumenti pratici e psicologici a chi si deve occupare di un genitore incapace di badare a sé. In queste pagine fanno capolino qua e là osservazioni che possono sembrare fuori tema, in realtà sono state ispirate dall’intento di non ridurre chi ha un deficit cognitivo a un insieme di sintomi e chi se ne occupa a un mero risolutore di problemi. Dietro i comportamenti fuori controllo c’è una sofferenza sotterranea che non può essere ignorata. La parte pratica costituisce solo un aspetto dell’accudimento che deve fare i conti anche con vissuti di esasperazione, rabbia e stanchezza. L’esperienza professionale mi ha insegnato che sono proprio le emozioni a spuntare le lance anche a strategie potenzialmente efficaci. Non si può parlare di demenza senile senza fare riferimento a chi è e a come vive il vecchio, ma non si può parlare del vecchio senza fare riferimento a chi è e a come vive chi si occupa di lui, ma non si può parlare di chi si occupa di lui senza fare riferimento ai ritmi frenetici della sua giornata. Sono proprio i “non”, i “senza” e i “ma” a trasformare comportamenti diversi in anelli di un’unica catena che non può essere spezzata. La lettura del contesto aiuta a capire meglio i problemi, a cercare le eventuali soluzioni, oppure la rassegnazione quando non ce ne sono.

non rimuove ciò che sfugge alla misura (come, ad esempio, il percepito viscerale di ogni organismo dei significati attribuiti all’ambiente in cui è inserito e gli effetti potenti che tale percezione hanno sulla sua fisiologia), collassando il reale ad una rappresentazione codificata secondo categorie arbitrarie. Risultato:

ci sono persone che hanno mostrato sintomi, magari anche quadri clinici gravi, e, se non si diceva che la causa fosse un virus (mai isolato), si era dei “negazionisti” o altre follie, come se uno che neghi che i regali sotto l’albero ce li ha messi Babbo Natale, allora è uno che nega il Natale. Come si può comprendere, il passo all’orwelliano bi-pensiero è brevissimo: 2+2 fa 5 e chi lo nega è un violento ed un fascista.

Ma è bene fare una nota sulla radice percettiva, aesthetica e psichica della sottoscrizione di tutto ciò. Il delirio in cui ci troviamo, infatti, nasce da un degrado tanto narcisistico quanto esistenziale: • narcisistico nel senso che, per cultura, nel soggetto vengono sostituiti, alla percezione autentica di sé, la rappresentazione ed il “valore” codificati secondo parametri eteronomi al soggetto stesso e costruiti da un collettivismo funzionale ad altro, svuotato di ogni radicamento alla natura; da qui il bisogno di adequatio a canoni d’esistenza (non solo estetici, ma morali, culturali, sociali) necessari per garantirsi un imperdibile “status di appartenenza”, pena l’emarginazione; • esistenziale nel senso che l’isterilimento emotivo, analogico e la rimozione della vicinanza e del senso di cura e cooperazione fattuali (possibili solo in realtà a piccola scala, come i villaggi e le tribù), nella globalizzata standardizzazione in cui siamo alloggiati, svuota totalmente le vite di afflati profondi e degrada la comunicazione tra individui al livello meramente descrittivo; ciò è testimoniato dal solerte e indiscriminato accoglimento di tutte le “distrazioni” che permettano di saturare imbarazzanti silenzi da cui echeggino munchiani urli di un mal de vivre… e così si fanno ubiqui e desiderabili proto-rimedi surroganti come:

animali da appartamento, rotocalchi, socialnetwork, cronaca, eventi, pacchetti vacanze, per non parlare della dissipazione in mode, shopping e tifoserie di ogni sorta. L’importante è non abbandonare il chiacchiericcio che assicuri una comunicazione centrata su contenuti non-intimi (ad eccezione del pettegolezzo morboso) e che si nutra di commenti sul meteo, il caro benzina ed il solito “governo ladro” [ma va?!]).

Questi due fattori sorreggono l’architrave del conformismo, che sostanzialmente è la perfetta risultante comportamentale di una eugenetica culturale premeditata dall’alto ed ignaramente nutrita dal basso. In tal modo, laddove la deprivazione esistenziale e spirituale sono così irreparabili, il nichilismo opaco, travestito da normalità, fa sì che ogni occasione in cui ci si possa sentire migliori e riconosciuti positivamente valga come manna dal cielo. Ecco quindi che il principale attore che ha mosso il consenso sociale (l’unico ingrediente che possa trasformare una oggi impraticabile dittatura in una praticabilissima egemonia voluta in primis dalla massa) è proprio questa «grande occasione» di sentirsi migliori e lodevoli (a servizio dell’ubiquo archetipo della vittima sacrificale, ma con la levatura del martire e di chi purtroppo deve sopportare e farsi carico, ma a testa alta e con gioia nonostante gli irresponsabili, che diventano i capri espiatori).

E così, via ai bavagli sulla faccia, anche ai piccoli e anche quando non obbligatorie perché si è delle “persone responsabili”; via all’iniettarsi roba sperimentale di cui si richiede il manlevo di ogni responsabilità, firmando un consenso “informato” su prodotti coperti da segreto militare; via a porgersi il gomito, a lasciare le borse della spesa fuori casa della nonna che non si abbraccia da mesi e all’impedire di star vicini ad un malato in ospedale (che magari non si rivedrà mai più) e a molte altre chicche che se fossero state raccontate solo 10 anni fa avrebbero causato la sollevazione indignata dei più apatici ed indifferenti borghesucci.

La violenza di questo ligio ben pensare è ben più tragica di quella di una rivolta armata ed in quel buonismo, si fanno sacrileghi e blasfemi, o come minimo ridicoli (tramite etichette quali complottismo pseudo-scienza, tuttologia), ogni dissenso e critica a quel credo, in quanto tale credo costituisce proprio il sistema di coordinate entro cui può valere l’immagine narcisistica ed esistenzialmente povera dell’esser migliori.

La critica di chi, a tutto questo, non ci sta si fa inaccettabile ed urticante, poiché ribalterebbe quella stessa “lodevole” rappresentazione di sé in un mostruoso e miserabile «fesso» o «incompetente», ma soprattutto…. uno di quelli meno capaci di senso del sacro nei confronti di quell’intoccabile essenza di cui non si deve nemmeno discutere: il tempio del proprio corpo. Ovviamente, esistendo coloro che a questo schema perverso sono restati immuni, è bell’e fatto il divide et impera, ma la ragione non può liquidarsi nella banalizzazione secondo cui esistono due fazioni di individui che “stolti entrambi” si fanno la guerra, ponendole sullo stesso piano. Questo equivarrebbe a non riconoscere la vera dinamica della vicenda. Qui si tratta del fatto che una parte immensa di umanità sta deliberatamente abdicando al proprio “essere umani vivi e liberi” in favore di un macchinario infernale il cui operare coinvolge anche coloro che questo scempio lo vedono e non lo vogliono permettere, ma che sono in netta minoranza. La cosa grave e drammatica è l’impossibilità di affrancarsi, dicendo ai primi “voi fate la vostra strada”, in quanto il disegno è totale e coloro che stanno lottando, lo stanno facendo anche per le pecore del gregge (sia per causa loro, che per aiutare loro). Questo aspetto, con queste proporzioni, è un fatto inedito nell’intera storia dell’umanità.

Senza qui poterci soffermare su tutta la problematica che riguarda il primatismo della conoscenza scientifica e di tutta la patinata indiscutibilità di ciò che essa sforna dal mondo accademico, protetto dalla retorica dell’eccellenza e del peer review che certificano e accreditano il sapere che può e dev’essere accreditato, e senza qui considerare tutti i bias ideologici, economici che questo “sapere” porta con sé, sappiamo bene che la scienza istituzionale ha in realtà un grosso problema alla propria base e che riguarda il come si costruisce verità scientifica. Questo aspetto metodologico, specie nelle scienze medico-biologiche, non diventa mai oggetto della stessa riflessione scientifica, o non lo diventa al punto da mettere in discussione alcuni capisaldi intoccabili che in vero consentirebbero un salto paradigmatico nella comprensione del regno vivente.

All’interno di questa basilica dottrinale, il mondo accademico è rimasto inerte e passivo di fronte ad un simile delirio sociale, o se n’è fatto, peggio, complice ed attuatore. Idem per la scuola, che è stata da tempo programmata e configurata in modo da garantire una sottoscrizione del “total reset” in attuazione. Questo è stato un esito ottenibile tramite un preciso lavorio, degli ultimi 30 anni, occultato nelle anse delle procedure, fatto a colpi di riforme e circolari, nonché con le millantate pratiche di “sinergia col mondo del lavoro” e di finanziamento “della ricerca” sotto le voci di sviluppo, innovazione, ammodernamento, informatizzazione… ecc. (si veda E. Frezza). Ma tornando al problema epistemologico, se è vero che, con Bateson, «i dati non sono fatti», non possiamo dare per scontato ciò che l’immagine tradizionale della scienza fa dai tempi di Galilei, mettendo sullo stesso piano i modelli descrittivi (matematici, in ultimo) e quegli aspetti irriducibili dell’esperienza, con cui facciamo i conti tutti i giorni. Questa scienza sa rispondere alla domanda che si chiede che differenza c’è tra fare una misura e fare esperienza…? È evidente che da tempo siamo di fronte ad una crisi (utilissima) costituita dal rimettere radicalmente in discussione una visione dell’epistemologia che ritiene di poter operare soltanto intendendo il metodo come strumento indipendente dal proprio oggetto di studio e come criterio astratto della “scientificità” di un problema e di una sua soluzione. In questo caso, il prezzo da pagare è accettare il procedimento fisicalista come l’unico valido, e accettare un “taglio” cartesiano profondo tra mente e natura (psiche e soma) profondamente dualistico e, pertanto, non necessitato.

La “terapia” a tale crisi (per dirla con I. Licata) sta dapprima nel riconoscimento che ogni “epistemologia” nasce e si sviluppa all’interno dei livelli emergenti di realtà e quindi anche di descrizione, tenendo presente che lo studio di ogni “dominio del mondo” – dalla stessa definizione di “dominio”, ai suoi oggetti ed alle relazioni che li legano a vari livelli – implica un riconoscimento esplicito delle strategie e delle finalità cognitive dell’osservatore. Si deve mettere bene a fuoco che, di tutte le emergenze propagandate, l’unica vera e reale è allora quella della coscienza: al momento, nella maggior parte degli individui umani non ci sono strumenti adeguati a orientare l’agire ed il pensare… manca una bussola per stare al mondo in modo bio-logico, cioè secondo logica per la vita.

Non si sta parlando qui di cultura, competenze, nozioni, a di capacità di sentire (non di credere, ma di sentire!) cosa è vero/buono/utile (B. Spinoza) e necessario per la vita e di abbandonare un solipsismo sistema- centrico degenere che nulla ha di umano, e nulla ha di pro-vitale. Quello che sopprime la vita è la mancata meta-osservazione critica dei bisogni che vengono espressi da ogni individuo senza che quest’ultimo ne sappia distinguere l’origine (se davvero autentica, necessitata, bio-logica… o se indotta, condizionata, orientata, funzionale ad altro). Quando manca questo, allora vi è lo spazio per i grandi détournements (per dirla con i situazionisti e G. Debord) prodotti dal relativismo bi-pensato che fa da spalla al pensiero identitario.

Per solo menzionarne alcuni:

· dalla critica dell’umanesimo antropocentrico (umano troppo umano) alla negazione dell’umano in favore di un post/trans-umano (in vero espressione di una hybris paranoide, tremebonda ed incapace di cogliere l’ontologia relazionale di ogni vivente e di integrare la morte come fatto della vita)

· dall’accoglimento del bisognoso, del diverso, dell’inetto, del ferito (dentro) alla proibizione di essere normali (sani, forti, indipendenti, liberi, eterosessuali, maschi o femmine), da qui lo sfruttamento ad minorem dei valori cristiani, come aveva ben colto già Nietzsche nella sua genealogia della morale · dalla uguaglianza (quale?) come decontestualizzato totem inviolabile, alla soppressione delle diversità:

ma se ci pensiamo bene, la vita è proprio biodiversità, differenziazione (entropia minima raggiunta proprio tramite la massimizzazione dei vincoli, dei requisiti e delle distinzioni). Altro che la soppressione dei sessi o la prevalenza dell’autodichiarazione narrante sulla fattualità biologica!

· E quindi l’ideologia gender come atto di psicosi collettiva da mancato senso di realtà e sottoscrizione in vero dello status quo: essa sembra rompere schemi (con questa idea seduce adepti, e sempre più giovani), quando invece si fa il più acuto gesto di conformismo in cui la definizione data arbitrariamente va confermata da un collettivo servile, pena lessere fuori posto o fuori legge, perché violenti

· Dall’elevato i figli non si posseggono perché sono

della vita, non li possiedono i genitori perché di fatto

li possiede qualcun altro;

· Dalla tecnica come strumento, alla tecnica come

fine.

L’uomo è un essere vivente e se vuole prosperare nella

biosfera ed essere inondato di una felicità autentica,

conferibile solo dalla Natura, deve sapersi porre in

ascolto, per muovercisi con cura e commozione